Il discorso più bello del mondo… Poi, però…?

Eleonora, una mia amica, mi ha mandato il link a quello che in rete è considerato il discorso più bello del mondo. Si tratta del discorso che il Presidente dell’Uruguay, José Mujica, ha tenuto alla Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile di Rio de Janeiro dello scorso giugno 2012. Se avete 10 minuti di tempo da dedicarci ascoltatelo, perchè come dicono in tanti,  è un discorso rivoluzionario.

Poi però più sotto ne riparliamo…

Perchè questo discorso, ormai in rete da più di 6 mesi, adesso è salito alla ribalta e gira per tutti i social network, condiviso e ricliccato da un sacco di persone? Semplicemente perchè siamo in periodo elettorale e la storia del Presidente dell’Uruguay oltre ad essere molto istruttiva si presta al confronto con i politici nostrani. Il paragone l’ha fatto l’avvocato ambientalista Fabio Balocco su “Il fatto quotidiano“. Vi metto qui uno stralcio del suo articolo.

“José Pepe Mujica, Presidente dell’Uruguay: un mito” di Fabio Balocco.

Un mito. Non so definirlo altrimenti. José Pepe Mujica è un mito. In un mondo in cui la gente si scanna per il potere, per l’accumulo di beni materiali, lui, Presidente dell’Uruguay, si trattiene solo 485 dollari dello stipendio per vivere e destina gli altri 7500 alla beneficenza. Vive di poco, anzi di pochissimo, in una vecchia fattoria senza neppure l’acqua corrente, ma solo l’acqua del pozzo. È vegetariano, è sposato, ha un cane. Se non fosse per due energumeni che gli montano la guardia all’inizio della proprietà, nessuno potrebbe immaginare che lì ci vive il presidente della nazione. […]

È qualunquista fare un raffronto tra Mujica ed il nostro comunista  migliorista Napolitano, che vive al Quirinale e guadagna 239.192 euro all’anno, aumentati di 8.835 euro nell’anno in corso? 

È qualunquista fare un raffronto tra Mujica, che ha rischiato la vita e conosciuto la galera e che dichiara che un politico dovrebbe vivere come la maggioranza dei propri concittadini, con i nostri ex comunisti ed attuali neoliberisti D’Alema, con il suo yacht ormeggiato a Gallipoli, o Fassino, sindaco della città più indebitata d’Italia, con il suo reddito imponibile (anno 2010) di 126.452 euro?[…]

tratto dall’articolo “José Pepe Mujica, Presidente dell’Uruguay: un mito” di Fabio Balocco.

In tutta la loro buonafede, se Fabio Balocco, la mia amica Eleonora e tutti coloro che fanno girare questo video, pensano che sia una faccenda che riguarda esclusivamente i politici hanno capito poco. Se dopo aver condiviso, cliccato, twettato il discorso José Mujica di escono di casa col suv preso a rate sotto le chiappe e vanno a comprare l’ultimo modello di smartphone o a fare degli ottimi affari nei saldi, non hanno capito proprio niente.

La forza del discorso di José Mujica non sta nelle belle parole contro la società dei consumi, ma nel fatto che questo uomo di 77 anni le ha messe in pratica nella sua esistenza, facendo una vita frugale, liberandosi del superfluo e dei bisogni indotti, dedicando il suo tempo a cose che valgono ben più del possedere oggetti materiali. Sicuramente José Mujica avrebbe fatto le stesse scelte da normale cittadino, anche se non fosse stato il presidente dell’Uruguay, ed è su questo aspetto che tutti tacciono. La scelta di lottare contro questo sistema economico “non consumando” o meglio “consumando criticamente e consapevolmente” è una scelta di responsabilità personale a cui siamo chiamati individualmente tutti quanti, come cittadini e membri della famiglia umana. Chi non capisce questo e magari pensa che sia solo un problema dei politici, faccia a meno di cliccare, condividere, twettare. Grazie!

p.s. La storia di  José Mujica meriterebbe un maggiore approfondimento: quest’uomo che nel periodo del golpe in Uruguay si è fatto circa 15 anni di galera e che col ritorno alla democrazia è diventato Presidente, ricorda da vicino quella di Nelson Mandela ma da noi è totalmente sconosciuta proprio per la sua avversione alla civiltà de consumi!

ulteriore p.s. Nel discorso di  José Mujica appare una parola che ormai non usano più nemmeno i preti: FRATELLANZA. Tenetela a mente: ne riparliamo i prossimi giorni…

Firenze (e dintorni) sono anche questo…

Foto "A caccia tra i rifiuti a Firenze" by unpodimondo - flickr
Foto “A caccia tra i rifiuti a Firenze” by unpodimondo – flickr

Questa foto l’ho “rubata” una delle scorse mattine (se ci cliccate sopra si ingrandisce)… Nascosto dietro una siepe con la mia macchinetta fotografica ho voluto immortalare un “fenomeno” che mi capita di osservare tutti i giorni mentre vado o torno dal lavoro.

Come ho già raccontato altre volte, vado in ufficio a piedi: un tragitto di un chilometro e mezzo che faccio dalle due alle quatto volte al giorno, a seconda degli orari lavorativi. Fare il solito pezzo di strada avanti e indietro tutti i giorni alle solite ore ti porta a incontrare  un microcosmo di persone: i soliti pensionati che portano fuori il cane, la professoressa carica di libri che fa il percorso inverso al mio, l’impiegata delle poste che anche lei va in ufficio, il disabile o l’anziano che aspetta fuori casa i volontari della Misericordia che lo portano chissà dove a fare chissà quali cure (e che quando non vedi più  da settimane capisci che purtroppo non ha più bisogno di nessuna cura…).

In questo mio viaggio da casa all’ufficio passo davanti ad almeno 6 o 7 stazioni di raccolta di rifiuti, ognuna composta dai cassonetti dell’indifferenziato, dell’organico, della carta e  del multimateriale (vetro, plastica, tetrapack,etc…). Quasi tutti i giorni trovo delle persone come quella nella foto a rovistare nei cassonetti per trovare qualche oggetto ancora utile, fra quelli che il nostro consumismo imperante ci ha fatto buttar via. La cosa che mi ha impressionato è che non si tratta del classico barbone che fruga in un cassonetto ma di un’attività pianificata ed eseguita quasi scientificamente, tutti i giorni. Queste persone arrivano con una bicicletta (nella foto si intravede appoggiata al cassonetto) attrezzata con delle cassette davanti e dietro che servono come deposito dove mettere i tesori scovati nei cassonetti. Hanno anche l’attrezzatura per rovistare nel cassonetto: un bastone con un uncino con cui pescano i sacchetti e  gli oggetti più interessanti. Queste persone devono seguire un  itinerario preciso perché, mentre io  procedo a piedi, loro mi sorpassano con la  bici tanto che li ritrovo regolarmente alla postazione successiva. Devono anche conoscere gli orari dei camion che ritirano la spazzatura perchè, quando arrivano e trovano i cassonetti appena svuotati, imprecano (e non poco) in lingue a me oscure. Un altro atteggiamento che mi ha sorpreso è che quando questi giovani si allontanano dai cassonetti rimettono tutto a posto e non lasciano sacchetti  o sporco in strada.

Sbirciando nelle loro bici scopro cosa raccolgono: ferro, abbigliamento, scarpe, pentole, pezzi di legno, qualche giocattolo. Una volta ho visto uno portarsi via perfino un pesantissimo vecchio radiatore di ghisa. Un’altra volta, una di queste persone ha tirato su due paia di scarpe e se le è provate accanto al cassonetto: un paio che gli stavano le ha messe nel cesto della bici, l’altro paio l’ha rimesso ordinatamente nel cassonetto… chissà magari potevano servire a qualche suo “collega”…

A volte ci scandalizziamo quando vediamo in tv centinaia di persone del sud del mondo che abitano nelle discariche e vivono di quello che trovano nei rifiuti. Quello che racconta questa banale foto io  lo immagino come una versione più gentile e meno vistosa (ma non meno drammatica) di quello che accade laggiù nel sud del mondo…

Firenze e dintorni (la Firenze di Renzi) purtroppo sono anche questo…

Un telefonino, uno zainetto, un blocco notes e 38 schiavi, tutti per me…

Foto "This "one's for you" , Jonas" by Cecilia... - Flickr
Foto "This "one's for you" , Jonas" by Cecilia... - Flickr

Sono ormai 7 anni che uso lo  stesso telefonino. E’ un telefonino dismesso da mia figlia,  che fa due cose sole: telefona e manda SMS. Lo userò fino a quando non si romperà definitivamente. Uso lo stesso zainetto da 3 anni anche  se qualcuno mi prende in giro perchè è sponsorizzato da una multinazionale alimentare: me l’hanno regalato e lo userò fino a quando non diventerà inservibile. La mia potrebbe sembrare avarizia  ma in realtà è rispetto per ogni cosa che ci capita fra le mani e che spesso nasconde un carico di sofferenza e sfruttamento, sia dell’ambiente che delle condizioni dei lavoratori. L’altro giorno ero ad una riunione in cui si parlava di giustizia, ambiente e commercio equo-solidale e qualcuno mi ha fatto notare che stavo scrivendo fitto fitto su un blocco sponsorizzato dall’esercito italiano… A parte la soddisfazione di scrivere di pacifismo su un blocco pagato da Ignazio Benito Maria La Russa, Ministro della Difesa, ho fatto notare che è un blocco regalatomi in occasione di una corsa podistica e che mi sembrava più giusto usarlo per prendere appunti di pace piuttosto che buttarlo nella pattumiera da nuovo…

A riprova di queste mie tesi vi posto questo inquietante servizio apparso su “La Repubblica” del 1° di Novembre…

Cento schiavi per ogni consumatore. Dietro tutti gli oggetti c’è sfruttamento.

Il quadro fornito da un’indagine dell’organizzazione non profit Slavery Footprint. Attraverso un questionario è emerso che un esercito di 27 milioni di persone praticamente ridotte in schiavitù ha “contribuito a fabbricare ogni cosa che potete trovare”.

ROMA – Dietro praticamente ogni cosa che compriamo, dagli alimenti all’abbigliamento all’elettronica, si nasconde uno sfruttamento enorme: ogni cittadino medio che possegga un laptop, una bicicletta e un certo numero di paia di scarpe può calcolare di avere ‘sulla coscienza’ un centinaio di schiavi che hanno lavorato per lui. E’ quanto emerge da un’indagine condotta dall’organizzazione no profit Slavery Footprint, ripresa dal sito Huffington Post. Il questionario, in 11 pagine, contiene domande che spaziano dal cibo ai vestiti, dagli hobby alla casa, e studia le modalità di produzione di circa 400 articoli di consumo.

Finalità dell’indagine, effettuata in collaborazione con l’ufficio che si occupa della lotta al traffico di esseri umani del Dipartimento di Stato Usa, è informare i consumatori sul sistema di sfruttamento che si nasconde dietro praticamente tutti i prodotti che acquistano e al contempo esercitare pressione sulle grandi multinazionali affinché rendano note le loro pratiche del lavoro.

Un esercito di 27 milioni di schiavi – tanti quelli stimati oggi al mondo – hanno “contribuito a fabbricare ogni cosa che potete trovare, dall’armadietto medico in casa alla borsa di ginnastica”. “La schiavitù è ovunque”, ha dichiarato al sito il direttore esecutivo di Slavery Footprint, Justin Dillon. “E’ in ogni prodotto” che entra a far parte della vita quotidiana di tutti.

Prima di sviluppare l’organizzazione Slavery Footprint, Dillon si era già occupato del tema, con un documentario su Call + Response (associazione no profit impegnata nella lotta alla schiavitù) e fondando la Chain Store Reaction, una campagna che aiuta i consumatori a sollecitare le industrie a rivelare le loro procedure di produzione.

Ispirata dal modo in cui la Chain Store Reaction aveva motivato la gente a scrivere oltre 100.000 lettere alle industrie, il segretario di Stato Hillary Clinton aveva chiesto all’organizzazione di sviluppare un modello al fine di calcolare l’intreccio fra consumatori e traffico umano. Secondo Dillon, schiavo è “chiunque è costretto a lavorare senza remunerazione, a essere sfruttato economicamente e che non è nella possibilità di dire no”.

Sulla carta, la schiavitù è stata dichiarata illegale nel mondo con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, ma nella realtà è tutt’altro che estinta e riguarda anche molti minori e molte donne, sfruttate principalmente per la prostituzione.

Tratto dall’articolo “Cento schiavi per ogni consumatore” pubblicato su “La Repubblica” del 1 Novembre 2011

Se andate sul sito Slavery Footprint, troverete un’applicazione, graficamente molto graziosa, che rispondendo ad un questionario in inglese, calcolerà la vostra impronta “schiavistica”: io l’ho fatta ben due volte e in entrambe i casi mi ha calcolato che per mantenere il mio tenore di vita lavorano ben 38 schiavi. Dal confronto col dato medio degli altri intervistati ho scoperto che sono sotto la media per consumi di cibo, medicinali, profumeria, giocattoli e gioielli, sono uguale alla media nei consumi di elettronica, sport e abbigliamento e invece i miei consumi sono troppo alti per quanto riguarda la casa (arredamento, bollette, etc…). Ci sono rimasto un po’ male: pensavo di fare già tanto… e invece devo ridurre ancora i miei consumi per diminuire la mia impronta e insieme aderire alla campagna di pressione sulle multinazionali portata avanti da Slavery Footprint!

Pidocchiosi…

Berlin skyline
Foto "Berlin skyline" by Fernando Arconada - flickr

In questi giorni mia figlia è in gita scolastica a Berlino. In teoria sarebbe un viaggio di 6 giorni nella capitale tedesca: nei fatti sono due giorni a Berlino e 4 giorni in corriera sulle autostrade italo-austriaco-tedesche. Due tapponi all’andata (Firenze-München e München-Berlin) e due identici tapponi al ritorno per un totale di oltre 2.500 km  e un sacco di ore passate sul pullman anziché per musei o a impratichirsi con la lingua tedesca…

Sicuramente vi domanderete come mai i ragazzi non sono andati in aereo: semplicemente perché andando in aereo il costo della gita sarebbe aumentato di 90€ ed alcuni genitori si sono opposti fermamente, tanto che la scuola ha dovuto optare per il bus.

Quando, alcune settimane fa, mia figlia è tornata da scuola con la notizia del viaggio in bus anzichè in aereo, era inc***ata nera. Da buon genitore le ho fatto presente che effettivamente 90€ su una gita di una settimana non sono una grossa cifra ma, che in questo periodo di crisi, potrebbero voler dire tanto per qualche famiglia in difficoltà economiche. Non lo avessi mai detto! Mia figlia mi ha fatto notare che le compagne di scuola che hanno fatto la guerra per non andare in aereo vestono felpe firmate da 150€ l’una e vengono accompagnate a scuola col megasuv di mammina… Mi ha preso alla sprovvista e l’unica cosa che mi è venuto da dire è stata: «Sai cosa avrebbe detto il tuo povero nonno a questa gente qui? Che pidocchiosi…»

Delle mele a 60€ al kg, il mio amico Walter e i’ baho Gigi!

natureaddicts1.jpg
foto "natureaddicts1.jpg" dal sito Trashfood.com

Comprereste delle mele al “modico prezzo” di 60€ al chilo? Sicuramente la vostra risposta è NO ma non fatevi illusioni, perchè non si è mai del tutto sicuri di quello che realmente  si compra, soprattutto  se non si leggono bene le etichette! Magari avete già comprato le mele a 60€ al Kg e non ve ne siete neanche accorti… Basta un’idea nuova di qualche ditta alimentare e una campagna di marketing accattivante e ci rifilano quello che vogliono…

Nei giorni scorsi su Trashfood, il sito della prof. Gianna Ferretti è apparso l’articolo  “Cosa fanno 2 mele + 16 g di pesca? fanno N.A.” del quale vi metto un estratto:

[…]Sono le bustine di N.A. -nature addicts. “L’essenza della frutta in tasca”.[…] Di cosa si tratta? esiste in diverse varianti, Con Lampone, o Fragola, con Pesca o Ribes nero.

Hanno tutte un denominatore comune: il succo di mela concentrato (50%). Altri ingredienti sono purea di mela concentrata, pectina, e aromi naturali. Nella varietà con ribes nero troviamo anche purea di ribes neri concentrata (5%), succo di bacche di sambuco concentrato e fibre della frutta.
Nella varietà “con pesca” troviamo purea di pesche concentrata (7%) e ugualmente fibre della frutta. Il tutto concentrato in gomme dolcissime, e infatti gli zuccheri semplici contenuti sono 79 grammi su 100 grammi, nella confezione da 30g ce ne sono 24g,

Come si arriva a 30g di Nature addicts? sulla confezione leggo che per i dadini di frutta con ribes neri sono serviti 2 mele + 7g di ribes neri. La varietà con pesche si ottiene da 2 mele + 16 g di pesca.

In conclusione, il 90-97% dei dadini è quindi mela o meglio prodotto derivato dalla lavorazione della mela (succo di mela concentrato+purea di mela) forse sarebbe piu’ giusto chiamarle dadini di mela con un po’ di ribes o pesca.

Il costo è di circa 60 euro al chilo, non male.

Mi sembra inoltre davvero inappropriato il confronto con la frutta fresca, conoscete forse un frutto che ha 79 g di zucchero su 100 g?

tratto dall’articolo di Gianna Feretti “Cosa fanno 2 mele + 16 g di pesca? fanno N.A.” pubblicato su Trashfood.com

Non avendo mai comprato queste caramelline (e non avendo nemmeno intenzione di comprarle) prendo per buoni i dati riportati nell’articolo di Gianna per fare qualche breve riflessione generale.

  • Secondo Gianna il  90%-97% delle caramelline è costituito da mele o derivati da mela che ci vengono vendute a 60€ al chilo. Ora le considerazione da trarre sono due: o chi ha inventato queste caramelle (e gli addetti marketing che hanno creato la campagna pubblicitaria) sono dei geni oppure noi consumatori che compriamo queste “mele”, pagandole più di Adamo ed Eva, siamo dei tontoloni! Neppure il miglior Sidro di Normandia costa così tanto!
  • Nel mio Gruppo d’Acquisto Solidale compriamo, dal nostro amico Walter,  delle ottime mele da agricoltura biologica a km 0 al prezzo di 5€ per 3 kg di mele. Facendo le debite proporzioni vuol dire che col costo di un chilo di caramelline (60€) compriamo la bellezza di 36 kg di mele Bio! Avete notato che differenza?????
  • La pubblicità insiste sulla natura (100% frutta, nessun edulcorante o conservante) ma come ha scritto anche Gianna non esiste un frutto con tanto zucchero e poi, lasciatemelo dire, un conto è mangiare un frutto fresco colto dall’albero da poche ore, un conto è mangiare una caramella fatta con mele e trasformati di mele che molto probabilmente hanno subito cotture e trattamenti che forse ne hanno alterato o distrutto vitamine e minerali. Non è meglio mangiare delle mele, delle pesche e del ribes freschi quando sono nel pieno della loro stagione?
  • Le mele biologiche  del mio amico Walter sono così vive e naturali che spesso ci trovi dentro il vermetto, quello che a Firenze viene amichevolmente chiamato il Baco Gigi ( o meglio i’ baho Gigi). Dicevano le nostre nonne che il Baco Gigi è un tipo talmente esigente che la sua presenza significa che la mela è sana e ottima e secondo me non avevano tutti i torti. Io penso che nelle caramelline alle mele il Baco Gigi non ci vivrebbe tanto facilmente:  ammesso che riesca a viverci come minimo prenderebbe il diabete!

Sullo stesso argomento un articolo dal blog di Papille Vagabonde!

p.s. Inutile dire che a Firenze il  solito Riccardo Marasco  ha dedicato una canzone anche al Baco Gigi

Storie di acciughe….

Acciughe.
Foto "Acciughe." by Tom Lee KelSo - flickr

Parliamo di consumi ed economia con un fatterello che mi è capitato Sabato scorso… Come qualche raro mio lettore saprà (qui il post) sono a dieta dallo scorso Luglio.  Fra le varie prescrizioni,  la mia dieta prevede che io mangi 200 gr. di pesce tutti i giorni. Prima di fare la dieta facevo scorta di pesce tramite il mio Gruppo d’Acquisto Solidale (qui il post), mentre adesso devo necessariamente integrare la mia spesa di pesce  comprandolo in una ottima pescheria fiorentina gestita direttamente da una cooperativa di pescatori livornesi.

Sabato scorso l’addetta (che conosce la mia predilezione per il pesce azzurro) mi dice…
«Se le interessa abbiamo un’offerta speciale sulle acciughe sfilettate.»
«Quanto vengono?»
«13,90€ al kg.»
«E da sfilettare?»
«9,20€»
Faccio due conti al volo ed esclamo «Me ne dia 1kg da sfilettare.»

Prendo il mio kg di acciughe da sfilettare, torno a casa e faccio il conto della serva… Le stesse alici sfilettate costano la bellezza di 4,70€ in più rispetto a quelle da sfilettare… Pur ammettendo che le acciughe da sfilettare, fra teste e lische, hanno un po’ di scarto, la differenza di prezzo fra le une e le altre è gigantesca: le sfilettate costano il 51% in più rispetto alle altre…  In quanto tempo di può sfilettare a casa 1 kg di acciughe? Tenuto conto che io non sono velocissimo voglio esagerare… 20 minuti, 25 minuti, sicuramente meno di mezz’ora.  4 euro e 70 per un lavoretto di 20-25 minuti… non sono presi male…

La stessa cosa l’abbiamo valutata, alcune settimane fa, col mio amico Vlad riguardo alle insalate di quarta gamma (quelle già lavate in busta). Un kg di insalata da agricoltura biologica comprato in un Gruppo d’Acquisto Solidale costa mediamente 2,50€ mentre, da quello che mi diceva il mio amico, l’insalata in busta (non biologica) costa non meno di 7,50€ al chilo. Morale della favola: un chilo di insalata in busta costa il triplo dell’insalata biologica con una differenza di prezzo del 200%. In pratica l’operazione di lavaggio dell’insalata costa il doppio dell’insalata stessa… E’ assurdo…

Eppure, nonostante la crisi economica, l’insalata in busta e le acciughe sfilettate (che tra un po’ costano più della bistecca) vanno a ruba! Perchè? Sapete cosa vi avrebbe detto la mia povera nonna? Vi avrebbe detto che è tutto un problema di “faticaccia maiala”… ovvero che la fatica di passare mezz’ora all’acquaio o ai fornelli va pagata… e le persone, pur lamentandosi della crisi, la  pagano a peso d’oro  (e volentieri)…

Sapete, ridendo e scherzando, che conclusioni abbiamo tirato io e il mio amico Vlad? Che quasi quasi ci sarebbe da farci un business… Voi comprate l’insalata biologica a 2,50 al kg e noi per la differenza (5€ al chilo) veniamo a lavarvela a casa… e quasi quasi vi puliamo anche le acciughe (a 4,70€ al Kg).

Mi sa che l’assurdo modello economico e produttivo che ci hanno imposto sia  un po’ da cambiare…

I padroni del mondo.

337/365: The Big Money
foto "337/365: The Big Money" by DavidDMuir - flickr

In questo blog ho fatto una categoria chiamata “Consumi ed Economia” dove raggruppo un po’ di articoli dedicati all’economia e all’impatto che questa ha con i nostri consumi familiari e viceversa di come i nostri consumi (o non consumi) familiari possono incidere sull’economia, ponendo attenzione ad una più equa e solidale distribuzione delle ricchezze, soprattutto a favore dei popoli e delle classi più povere.

Vi metto un articolo molto interessante apparso sul numero di Maggio 2010 del bimestrale del Movimento Shalom, scritto  D. Andrea Pio Cristiani e dal titolo eloquente: “I padroni del mondo”. A parte il cappello iniziale dedicato alla ricorrenza della Pasqua, il resto dell’articolo offre una drammatica, asciutta e (purtroppo) veritiera immagine della situazione economica attuale.  Fortunatamente il pezzo si chiude con uno spiraglio di speranza… se riusciremo a modificare i nostri consumi verso uno stile di vita più sobrio e responsabile, forse la situazione potrà migliorare per tutti… e magari  anche questa crisi non sarà stata inutile…. Buona lettura!

I padroni del mondo

E’ passata da qualche giorno la Pasqua di Resurrezione, vero inizio di un nuovo ordine mondiale, manifestazione definitiva dell’unico Signore della storia per mezzo del quale “tutte le cose sono state create per noi uomini”.

Se ci domandassimo a chi appartiene il mondo, ci renderemmo conto dello scippo che viene quotidianamente perpetrato sulla pelle di miliardi di esseri umani. Gli uomini eletti a figli di Dio, intelligenti, liberi e responsabili, creati per un viaggio meraviglioso sul nostro pianeta si ritrovano a vivere soggiogati da una piccola parte egoista e prepotente dei loro simili. Se facessimo la somma di tutti i beni materiali, di tutti i terreni privati, di tutti i patrimoni, di tutte le ricchezze che si trovano sulla terra, ci accorgeremmo che il 2% della popolazione adulta possiede più del 50% del patrimonio privato mondiale. Ciò significa che i ricchi possiedono più della metà dei beni che Dio ha creato per tutti. E’ ancora più strabiliante sapere che il 10% della popolazione più abbiente  arriva addirittura a possedere l’85% del patrimonio di tutto il mondo. Alla metà più povera della popolazione mondiale appartiene, invece, circa l’1% di tutti i beni del pianeta, come se 50 persone dovessero spartirsi tra di loro qualcosa che in realtà è destinato ad una sola. Questo significa che il mondo appartiene a pochi ricchi, produttori di petrolio e proprietari delle multinazionali. Fra di essi, secondo i ricercatori dell’ONU, cinquecento hanno un reddito annuale maggiore della somma dei redditi di circa cinquecento milioni dei più poveri della terra. Secondo la medesima ricerca, ci vorrebbero solo 300 miliardi di dollari americani per alzare il reddito del miliardo di persone che vivono in povertà estrema, con una spesa di appena il 10% del patrimonio degli otto uomini più ricchi del mondo.

I super-ricchi in realtà sono “ingrassati” da noi consumatori che acquistiamo i prodotti scintillanti con le marche imposte dalla macchina pubblicitaria. Telefonini, computers, scarpe, abiti, giocattoli, e generi alimentari  sono frutto del lavoro sottopagato di donne e bambini del terzo mondo al servizio delle ricche multinazionali, che condizionano la politica mondiale e detengono il monopolio dell’informazione. Questi “signori” ignorano i fondamentali diritti umani e distruggono l’ambiente in una corsa inarrestabile e sconsiderata verso il profitto. Ognuno di noi, ne sono profondamente convinto, potrebbe contribuire ad una giusta  ridistribuzione della ricchezza se non ci lasciassimo manovrare dalle mode imposte dalla società, fossimo più sobri negli acquisti, più consapevoli dei meccanismi adottati dagli affamatori dei popoli, più attenti a come ci vestiamo, ci calziamo e mangiamo. Il nostro imperativo è, sempre e ovunque, la verità, il coraggio di denunciare le ingiustizie, la sobrietà nello stile di vita così da essere veramente solidali con gli ultimi.

Articolo di D.Andrea Pio Cristiani, fondatore del Movimento Shalom, pubblicato a pag.1 e 2 del numero di Maggio 2010 del bimestrale “Shalom”.

Un film: Fast Food Nation (2006)

Fast Food Nation
foto "Fast Food Nation" by - /Sizemore/ - flickr

“Carne da macello”. Con queste tre parole si possono definire quelli che sono i tre protagonisti di questo film denuncia sul mondo dei fast food. I bovini allevati fra lo sterco, in allevamenti sovraffollati e poco igenici sono la prima “carne da macello”. La seconda sono gli immigrati messicani che clandestinamente raggiungono gli Usa per lavorare nelle fabbriche di hamburger e che spesso lavorano senza formazione e in condizioni igieniche e di sicurezza molto precarie (infatti spesso perdono dita, mani o arti interi nelle macchine). Infine l’ultima “carne da macello” sono i consumatori ai quali, in ossequio alla legge del massimo profitto, viene fornita carne infetta da batteri fecali, perchè i ritmi imposti dalla produzione della carne e il basso costo del prodotto finale (l’hamburger) si ripercuotono, alla fine, sulla scarsa qualità della polpetta…

Il fim, ispirato dal libro “Fast food nation” di Eric Schlosser, è una fiction su un’immaginaria catena di fast food (“Mickey’s”) ma si avvicina parecchio alla situazione delle catene reali. La storia, che scorre contemporaneamente su binari diversi, è interessante e gradevole. Nonostante la drammaticità dei problemi, ogni tanto c’è anche qualche concessione all’humor che sdrammatizza la vicenda (ad esempio quando le vacche non vogliono uscire dai recinti tagliati dagli attivisti contro i fast food). Fra gli interpreti ci sono Patricia Arquette, Greg Kinnear, Ethan Hawke, Avril Lavigne, Kris Kristofferson e Bruce Willis, che offre uno dei momenti migliori del film…

Alla fine del film ci sono alcune scene reali di un mattatoio che mostrano come sono uccisi, scuoiati e sezionati i bovini. Sono scene crude, ma chi si schifa così tanto, non si è mai chiesto come arrivano le fettine nella vaschetta del supermercato o da dove vengono le suola in “vero cuoio” delle proprie scarpe?

Vi lascio con alcuni dialoghi tratti dal film:

Dialogo 1

Jack (Frank Ertl – manager della catena Micky’s): Io ho un amico che insegna alla facoltà di Scienze alimentari, microbiologia. Questo semestre, alcuni dei suoi laureandi hanno deciso di analizzare in laboratorio la carne delle catene dei fast food. Beh, sono riusciti ad avere un paio di Big One, di quelli surgelati – non chiedermi come – e il livello di coliforme fecale era alle stelle. Temo che questo potrebbe essere un problema per noi. Sai di cosa sto parlando?

Don (Greg Kinnear -protagonista e resposabile marketing della catena): Non esattamente.

Jack: Sto parlando di merda nella carne.

Dialogo 2

Rudy Martin (Kris Kristofferson, allevatore di bovini): Senta, qua non è la storia di quelli buoni contro quelli cattivi, ma della macchina che ha il controllo economico di tutto il paese, sembrano cose da fantascienza, i terreni, il bestiame, gli esseri umani… A questi non gliene frega un cazzo. Contano solo i soldi, solo i soldi, nient’altro ha valore, bisogna solo fare soldi.
Don: Sembra molto squallido.
Rudy Martin: In ogni caso lei mi sembra una brava persona, ma il cibo che vende la sua azienda fa schifo, totalmente schifo. Anche quando non c’è il letame dentro.

Dialogo 3

Harry Rydell (Bruce Willis, commerciante di carne, sulla contaminazione da batteri fecali negli hamburger): Amico mio, devi fare un passo indietro e vedere le cose diversamente. Quarantamila persone muoiono in incidenti stradali ogni anno: a Detroit non devono più fare automobili? Devono chiudere? Certo che no.

Dialoghi tratti dal film

Domani, 1° Maggio boicottate i negozi aperti e …stendetevi su un prato!!!

secondo la questura... #2
foto "secondo la questura... #2" by RICCIO "il colore del ricordo inganna" flickr

Domani è il primo maggio e la festa dei lavoratori è da sempre una ricorrenza laica molto sentita. Fino ad ora le persone che lavoravano erano  poche, soprattutto quelle dedicate ai servizi essenziali di emergenza (forze dell’ordine, ospedali, vigili del fuoco, etc…), mentre gli altri lavoratori facevano festa…

In questi giorni invece sindaci, media e commercianti (dai bottegai alle multinazionali), in nome del Dio Profitto e con scarso (se non nullo) rispetto per i lavoratori, chiedono e si battono per l’apertura dei negozi anche il primo di Maggio.  Questi moderni “sacerdoti” della religione del Pil e dei consumi sfrenati, con la scusa della crisi, vogliono sminuire e distruggere il significato della festa del lavoro, facendola diventare la festa dello shopping e del consumo ad oltranza, mettendo in secondo piano i problemi degli operai, dei precari, dei lavoratori in mobilità e così via…

I sindacati, la Chiesa cattolica e anche qualche raro politico si sono opposti a queste manovre (vedi questi articoli di Repubblica, La Stampa, Il Piccolo, Firenze on Line, Di tasca nostra) ma credo che la risposta più incisiva a questa situazione debbano darla i lavoratori che il Primo Maggio saranno in festa… Boicottate i negozi aperti e non rinchiudetevi in quelle cattedrali dello spreco che sono i centri commerciali. Almeno per un giorno potete rinunciare allo shopping  e al meccanismo del nasci-produci-compra-crepa?

Se anche Dio il settimo giorno si è riposato non potete farlo anche voi, per una volta? Non sapete cosa fare? Organizzate un picnic in campagna, una gita in bicicletta, una partita di pallone, una grigliata, oppure… stendetevi su un prato ad osservare le nuvole!

Basta! Ci avete rotto… (le uova)

ponte a greve ai tempi di blade runner
foto "ponte a greve ai tempi di blade runner" by pynomoscato - flickr

Ieri sera (12 Gennaio 2010) sono andato a fare un po’ di spesa alla Coop di Ponte a Greve e sapete cosa ho trovato  tra gli scaffali,  a meno di una settimana (6 giorni per l’esattezza) dall’Epifania? Un espositore con le Uova di Pasqua Kinder Ferrero!

Appena ho visto questo espositore, non ho resistito e ho esclamato ad alta voce: «Che palle! E’ appena passata la Befana e ci rivogano già le uova di Pasqua!» Se avessi potuto sarei salito in piedi sull’espositore e avrei schiacciato tutte quelle uova. Mi sono veramente scocciato di questo consumismo imperante che mette sugli scaffali i panettoni alla fine di Settembre, le uova di Pasqua a Gennaio e secchiello, paletta e formine a Marzo! A casa mia c’è un modo di dire che riassume questa situazione frenetica e schizofrenica: “Voler mangiare l’uovo in culo alla gallina!”

Basta! E’ l’ora di finirla con questo consumismo sfrenato che, in nome del profitto a tutti i costi, impone ad ogni essere umano il metodo di vita “nasci-produci-compra-crepa”.

In un momento di riflessione ho pensato di scrivere una lettera di protesta alla rivista che Unicoop Firenze manda a tutti i soci (L’Informatore) ma ho desistito perché so già la risposta che mi avrebbe dato la Coop…

La solita rispostina “magica” con cui la Coop si giustifica tutte le volte in cui un socio si lamenta di qualcosa che non va… dai prodotti dannosi per la salute (ad esempio quelli con i grassi idrogenati) a quelli di aziende boicottate perché sfruttatrici dei popoli del Sud del mondo (ad esempio la Nestlè). La Coop si giustifica sempre con le solite quattro paroline: Dobbiamo stare sul mercato. Non mi stupirei di trovare le arance insanguinate di Rosarno tra i banchi della Coop: d’altra parte che possiamo farci? Anche alla Coop “devono stare sul mercato”…

La Coop sei tu? No grazie la Coop non sono io, e infatti frequento sempre di più i Gruppi di Acquisto Solidale e le botteghe del Commercio equo e solidale!

Un socio Coop (molto deluso).