Un film: Finchè c’è prosecco c’è speranza (2017).

Questo film (tratto dall’omonimo libro di Fulvio Ervas) l’ho trovato per caso su un sito di streaming e mi è piaciuto molto. Il conte Desiderio Ancillotto, produttore di prosecco, non usa pesticidi e concimi chimici, fa “riposare il terreno” e usa quelle tecniche  che rientrano in quell’agricoltura bio-sostenibile che mira più alla qualità che alla quantità. Per queste sue scelte si è fatto molti nemici e sarebbe il primo indagato quando alcuni di questi vengono ammazzati, uno dopo l’altro. Solo che il conte si è suicidato alcuni giorni prima dell’inizio degli omicidi. Da qui si dipana la trama del giallo in cui l’ispettore Stucky (Giuseppe Battiston) cerca goffamente di risolvere il caso, fra osterie, panorami della Valdobbiadene e varia umanità.  Non è un capolavoro ma un film onesto e gradevole da guardare sul divano.

Quello che mi ha colpito è che finalmente si trattino argomenti come l’agricoltura biologica, la sostenibilità, la giustizia, la tutela della salute e dell’ambiente, in un film piacevole e per tutti. Di solito questi argomenti sono sviluppati in saggi, post, articoli di giornale dove si riportano tabelle, elenco dei pesticidi ritrovati nelle analisi dei cibi, numero dei malati di tumore, cronache di comitati ambientalisti, tribunali e così via. Tutti argomenti interessantissimi (io leggo molte cose di questo tipo), ma trattati in modo che alla fine rimani con un misto di rabbia, depressione e impotenza, per come il profitto uccide l’ambiente e le persone.

Trattare gli stessi temi con un po’ di garbo e morbidezza, specialmente in periodi come questi, secondo me è la chiave di volta per avvicinare le persone a questi argomenti così importanti, senza dover per forza deprimerle. Se su uno di questi temi ci trovi una fiammella di speranza magari ti viene voglia pure di impegnarti…

p.s. I luoghi del film sono molto particolari. Potrebbero essere l’idea per weekend in Veneto: trovate tutte le info qui

Il tempo delle cattedrali.

Vedere Notre-Dame in fiamme fa male, molto male… Potrei raccontare delle mie disavventure a Parigi (nel 2007 sono stato salvato dai  sapeurs-pompiers) ma non voglio fare un post di ricordi personali.

Notre-Dame fa male perchè, prima di tutto è un simbolo. Notre-Dame non è una cattedrale, è LA cattedrale! Ce ne sono centinaia di cattedrali, sicuramente più belle di Notre-Dame, ma se penso all’idea stessa di cattedrale, togliendo (per puro campanilismo) il Duomo di Firenze, rimangono due sole grandi chiese: la cattedrale del passato (Notre-Dame) e quella del futuro (la Sagrada Familia). Ci sono tanti luoghi di culto (non solo cattolici) che sono immensi, altri che custodiscono opere d’arte ma solo pochi sono quelli che io definisco “cattedrali”: ovvero oasi dello spirito, bolle di pace dentro alle città, astronavi fuori dal tempo… Ma cosa rende una chiesa di pietra un’astronave dello spirito?

Secondo me innanzitutto c’è qualcosa di mistico, un senso di pace che ti prende quando ci entri. Sei a migliaia di km da casa, in un luogo che magari  non hai mai visto eppure quando ci metti piede e alzi lo sguardo ti senti come “essere a casa”. Trovarti in un luogo e sentirne la serenità: un luogo “sconosciuto” ma allo stesso tempo “familiare” dove la tua anima trova pace. Può essere una chiesa ma potrebbe essere anche un bosco… una cattedrale della natura. Saranno solo suggestioni, ma non è un caso che le cattedrali sono costruite su antichi templi e magari i templi su strutture ancora più antiche e sempre riconosciute come luoghi spirituali. Ci sono teorie di linee e nodi energetici sui cui sorgerebbero molti luoghi di culto. Un esempio è la linea energetica che unirebbe le tre grandi chiese dell’Arcangelo Michele: Mont Saint Michel, la Sacra di San Michele in Piemonte e Monte Sant’Angelo sul Gargano. Chissà…

Le cattedrali sono anche astronavi fuori dal tempo. Chi l’ha fondate e ne ha iniziato la costruzione è morto senza vederne la fine, forse ne ha visto solo un piano o le fondamenta. Chi ha fatto il tetto o la Flèche come Viollet-le-Duc  a Notre-Dame è arrivato dopo 6 secoli da chi magari aveva scolpito i portali nel 1250. A Notre-Dame c’è il Gotico ma anche il Rinascimento, il Barocco , il Neoclassico e ci sarà in futuro qualche nuovo stile che ancora non immaginiamo… magari in un quadro o in un arredo. Partire dal passato ed essere proiettati nel futuro, oltre le generazioni, è il fascino delle cattedrali: sopravvivere in età alle vite umane e portarne il segno di tutte (come ad esempio l’astronauta nel portale della cattedrale di Salamanca). E’ questo che attira tante persone alla Sagrada Familia di Barcellona: vedere una cattedrale in divenire pur sapendo che non basterà una vita per vederla completata. Nel nostro mondo consumista del tutto e subito i tempi delle cattedrali sono un’assurdità e anche investirci dei soldi senza averne un tornaconto immediato può sembrare senza senso… E’ come piantare un seme sapendo che i primi frutti di quell’albero li mangeranno i tuoi nipoti, quando ormai tu sarai morto da anni. In fondo anche chi finanziava le cattedrali nel Medioevo al massimo sperava di averne un tornaconto nell’altra vita, magari accorciando la permanenza in Purgatorio.

Infine le cattedrali sono forse l’unico monumento davvero di tutti. Quelle pietre nel tempo sono state calpestate da ogni strato sociale: dai mendicanti agli imperatori che andavano a farsi incoronare, dai fedeli che vanno alla messa fino ai turisti, da chi vi cercava rifugio per l’anima a chi più prosaicamente per scampare alla giustizia.  E anche in quelle opere d’arte che ammiriamo col naso all’insù, c’è di tutto: dall’artista famoso, fino all’umile scalpellino o falegname che ha dato forma fisica al progetto del grande architetto. E non di rado nelle mura esterne delle cattedrali c’è qualche effige di animale che ha partecipato ai lavori… cavalli, asini e muli che hanno trainato le pietre o il legname per costruire quei muri. Per questo odio profondamente chi fa pagare un biglietto per entrare in una cattedrale, che è e dovrebbe restare una “casa” di tutti, indipendentemente dall’essere religioso o meno…

Insomma, dai poveri ai ricchi, dal medioevo a oggi la storia di una comunità (cittadina ma anche continentale) è racchiusa in quell’astronave chiamata cattedrale. Per questo fa male vedere Notre-Dame in avaria…

Una frase di Jim Morrison

Fai attenzione alle piccole cose, perchè un giorno ti volterai e capirai che erano grandi.

Jim Morrison (Melbourne 1943 – Parigi 1971) cantautore e poeta.

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Foto “BARIT✪N” by Steffi Reichert – flickr

Raccontare vite.

Foto presa da Internet
Foto presa da Internet

Stamani, mentre stavo facendo colazione, ho visto il reportage fatto da un giornalista di Skynews, salito a bordo della nave Lifeline. Ha intervistato alcuni migranti che erano sulla nave: un giovane che ha raccontato di essere fuggito dal Sudan dove non ci sono medicine, ne’ luoghi per curarsi, ne’ scuole per i bambini e una ragazza che ha testimoniato che per arrivare dal Sudan ci ha messo tre anni, anni fatti di prigionia, torture e botte, fino a quando non ha finalmente racimolato tutti i soldi per la traversata. Il giornalista ha poi intervistato il comandante della nave che ha ricordato che tutto l’equipaggio a bordo è fatto da volontari che usano le proprie ferie per “andare al mare”, cioè in mezzo al Mediterraneo a salvar vite umane. Ha tenuto perfino a precisare che il volo aereo dalla Germania a Malta, dove si è imbarcato, se l’è pagato di tasca sua…

Del servizio mi hanno colpito due cose…

  • La prima è che i migranti sono consapevoli che sono lì in mezzo al mare perchè nessuno in Europa li vuole. Ora non serve essere un premio Nobel per capire che questa gente, se la accogli e cerchi di integrarla, ti sarà riconoscente per sempre. Se la rifiuti, non si darà certo per vinta. Figurati se chi ha vagato nel deserto per anni, è stato torturato, picchiato e ha resistito su un gommone in mezzo al mare, si arrende quando è a un passo dalla salvezza… Insomma, cercheranno di arrivare comunque. Respingerli, criminalizzarli, come fa Trump con i messicani, non ci libererà di loro… ma potrà far si che qualcuno di loro voglia ricambiare il rifiuto ricevuto, col rischio di trasformare dei disperati in terroristi…
  • La seconda ha gli occhi vispi di una bimbetta di tre anni che giocava sulla barca… Che tutta  l’Unione Europea, un colosso economico con 28 nazioni e oltre 503 milioni di abitanti, abbia paura e si spacchi perchè una bimbetta e la madre chiedono di essere accolte e magari di frequentare un asilo, ancor prima di essere crudele, è ridicolo. Col finale che la somma “crudele + ridicolo” dia come risultato… “imbecille”.

Credo che per smontare il racconto di  Salvini e il clima di paura che partiti come il suo cavalcano e dirigono, basti una cosa semplice: raccontare vite umane. Raccontare vite trasforma i numeri in persone e spesso ci si accorge che quelli che vengono dipinti come “pericoli” e “nemici” sono come noi, anzi sono come noi ma… più fragili!

Torna Milano da leggere (…e stavolta da ridere).

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Foto “Duomo di Milano” by Lorenzoclick – Flickr

Come lo scorso anno il sistema bibliotecario della città di Milano lancia l’iniziativa Milano da leggere. Fino al 30 Giugno 2018 sarà possibile scaricare gratuitamente 10 ebook ambientati nel capoluogo lombardo. Se lo scorso anno il tema erano i gialli quest’anno i libri racconteranno Milano attraverso la lente dell’umorismo e dell’ironia. Ci potete trovare libri di Enrico Bertolino, di Beppe Viola, Gino e Michele e molti altri. Restano scaricabili anche altri 9 volumi pubblicati negli scorsi anni che sono di pubblico dominio con opere di Verga, De Marchi e altri.

Buone letture gratuite!

Considerazioni sulle intimidazioni naziste a Como.

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Foto “Nazis no” by Daniel Lobo – Flickr

Sicuramente avete visto in tutti i TG il Video del Blitz dei nazisti veneti nella sede di “Como senza frontiere“. Non è la prima volta: qui c’è un altro video di un’altra incursione degli stessi fascisti a Mantova. E queste sono le riflessioni delle persone che hanno subito il blitz a Como (altro video qui).

Ho rivisto i video e, aldilà delle condanne di rito apparse su tutti  i media, vorrei fare alcune brevi  considerazioni.

  • La reazione dei presenti alla riunione è stata encomiabile. Non so se erano impietriti dal terrore e dallo sconcerto oppure, se come ha detto qualche giornalista, era compostezza. Di fatto, che tutto ciò sia stato voluto o meno, è stato un bell’esempio di nonviolenza gandhiana. Sarebbe bastata una minima scintilla per scapparci una rissa (che forse i fascisti cercavano pure) e invece no. La volontaria che li ha salutati con la frase «Noi vi abbiamo rispettati» ha messo il timbro sulla differenza fra le persone civili e quelle no…  infatti i fascisti hanno risposto «Nessun rispetto per voi».
  • Dal video, e anche dalle testimonianze dei volontari che erano lì, si ha la sensazione di un testo oltre che delirante nei contenuti, soprattutto sgrammaticato e  letto in modo così meccanico da dare la sensazione che colui che leggeva non capisse nemmeno quello che stava leggendo. Questi skinheads ameranno pure la patria ma sembra che non abbiano degli ottimi rapporti con la lingua italiana. Se aggiungiamo che erano anche vestiti tutti uguali e che anche nell’altro video di Mantova parlano sempre per slogan… beh l’aggettivo che mi viene in mente è “pecoroni”… e detto per delle persone che mirano al giorno da leoni è tutto dire.
  • Logicamente l’intimidazione è gravissima e non va sottovalutata, però ha anche un suo lato comico. L’atto eversivo più grosso che si vede nel video è stato abbassare il termostato del riscaldamento… Partire in 15 da Vicenza, farsi 250 km all’andata e 250 km al ritorno, col risultato di abbassare un termostato, è così ridicolo che nemmeno le Sturmtruppen di Bonvi…
  • L’unica cosa che mi sarei aspettato in un paese civile è che in questi due giorni, oltre alle condanne di rito via mass media, qualcuno dei nostri politici fosse andato a dare di persona la propria solidarietà ai volontari di Como, visto che oltretutto sono tutti a giro per l’Italia in “parate” elettorali… Si vede che i politici non hanno capito la gravità del problema, oppure sono ancora lì a studiare quante percentuali perdono o guadagnano nei sondaggi se vanno a stringere la mano ai volontari di Como. In ogni caso, più passano i giorni e più i nostri politici fanno cadere le braccia… Se pensiamo che dobbiamo ancora sorbirci mesi di campagne elettorali… Addio!

Conclusione? Non c’è una conclusione… solo tanta tristezza e forse la consapevolezza che se vogliamo uscire da questa situazione solo una cosa ci salverà: LA CULTURA CONTRO L’IGNORANZA!

Dalla globalizzazione all’economia del dono… (terza ed ultima parte).

Foto "mappa cartolina saluto compleanno coupon loop" by WerbeFabrik - pixabay
Foto “mappa cartolina saluto compleanno coupon loop” by WerbeFabrik – pixabay

Nei due post precedenti (qui e qui) vi ho raccontato l’analisi dell’economia globalizzata fatta da due personaggi, l’uno opposto dell’altro: Guido Maria Brera e Francesco Gesualdi. Concludo con un testo, scritto da un altro economista, questa volta per il sito Comune-info.net che, nel suo piccolo, indica un modo per uscirne. Classe 1936, Alberto Castagnola è un economista che ha lavorato per Svimez, la Banca Mondiale, il Ministero del Bilancio e  l’ISPE e che, da quando è andato in pensione, scrive libri  e collabora con la Fiom, Rete Lilliput, la Città dell’Altra Economia di Roma, l’Associazione della Decrescita, il laboratorio urbano RESET di Roma e molte Onlus che realizzano progetti nel Sud del mondo.

Il suo testo mette in luce il fatto che, mentre siamo immersi totalmente nell’acquario del capitalismo e della globalizzazione, c’è qualcuno che, in un gioco di scatole cinesi, dall’interno lavora per un’economia nuova, solidale e responsabile che non mette il profitto al primo posto, al cui interno c’è poi un’altra scatolina piccola ma crescente dell’economia del dono…

Nei prossimi giorni farò dei post con alcuni esempi (e risponderò a tutti i vostri commenti): per ora vi lascio ad una piccola riflessione… Mentre scrivo/scrivete sui nostri/vostri blog usiamo computer o telefonini di multinazionali e non potremmo fare altrimenti. Anche lo spazio che usiamo è di una multinazionale (WordPress) che mette in fondo ai nostri articoli pubblicità di altre multinazionali… Però questo non ci impedisce, tramite i nostri post di indicare un’altra strada e di far vedere che c’è gente che in quell’altra strada sta costruendo un futuro diverso. A pensarci bene anche il tempo libero che dedichiamo ai nostri blog è un dono… un dono di idee da far circolare. Siamo tutti persone che fanno altri lavori ma che offrono le loro riflessioni al mondo… gratuitamente…

“Il cubo del capitale” di Alberto Castagnola.

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le riflessioni sui rapporti che devono avere le esperienze alternative, in particolare quelle dell’economia alternativa e solidale e le analisi che compongono il pensiero della decrescita , nei confronti del sistema globale capitalistico. Il fatto che la maggior parte di esse si svolge all’interno del sistema che sono convinte si debba sostituire, costituisce indubbiamente un aspetto cruciale delle attività da loro svolte ed è una fonte di molteplici difficoltà. […] Man mano che aumenta la consapevolezza diffusa dei danni prodotti dal sistema dominante, in particolare quelli che stanno turbando gli equilibri del pianeta (quelli che hanno creato nei millenni l’ambiente adatto per la nascita e l’evoluzione degli esseri viventi) , ogni persona dovrebbe acquisire la coscienza della propria minuscola partecipazione allo svolgimento dei meccanismi nocivi e insieme delle potenzialità (proprie e collettive) di processi di graduale sottrazione alle logiche diventate dominanti negli ultimi tre secoli.

Questa presa di coscienza è particolarmente necessaria in tutti coloro che già da alcuni anni operano tentativi di sottrazione al sistema e di creazione di logiche economiche e sociali alternative al capitalismo, anche se in molti casi questi tentativi sembrano più rispondere ad esigenze di libertà in senso lato o di ritorno ad una semplicità primitiva, piuttosto che di lotta antisistema o di ricerca di una creatività umana libera da vincoli. Per contribuire a questi processi, sempre più importanti man mano che si evidenziano crepe ad alto rischio nel sistema dominante, può essere di aiuto evidenziare in una qualche forma grafica la situazione attuale .

Foto tratta da Comune-info.net
Foto tratta da Comune-info.net

Ovviamente questa immagine può essere ingannevole, poiché il cubo base [azzurro] intende rappresentare il sistema capitalistico globale e dovrebbe avere delle dimensioni immense rispetto ai due cubi più piccoli, che rappresentano il primo l’economia del dono (cubo giallo), e il secondo più grande le diverse esperienze di economia alternativa e solidale (cubo blu) (che l’include logicamente l’economia del dono) in quanto relazioni più corrette e dense di significato dei rapporti di rilievo economico tra le persone. Lo schema invece può essere utile per sottolineare che le esperienze alternative si svolgono (purtroppo) all’interno delle dinamiche del capitale e gli sforzi di sottrarsi alle sue logiche e di mettere in piedi logiche economiche profondamente diverse sono talvolta immani e spesso soccombenti. D’altra parte, l’immagine evidenzia il fatto che ogni attività alternativa, anche minuscola e isolata, conquista spazio prima dominato dal capitale e quindi dovrebbe costituire un forte stimolo nella creazione, invenzione e immaginazione delle attività alternative. […]

Cosa c’è nel cubo più piccolo

Quanto segue trae ispirazione dalle esperienze e analisi del nuovo movimento femminista in materia di dono [… e] intende costituire solo un primissimo tentativo di comprendere maggiormente quante delle attività quotidiane potrebbero in realtà essere costituite da rapporti di semplice dono, esterno quindi agli scambi commerciali e ai meccanismi dei prezzi. In altre parole, dobbiamo diventare sempre più del fatto che possiamo intrecciare relazioni interpersonali (che potrebbero passare attraverso acquisti nei supermercati o nei negozi) e che invece possiamo inventare e realizzare attraverso attività personali, manuali o creative individuali o di gruppo. Ogni oggetto ed ogni relazione diventano inoltre qualcosa di ben diverso dell’acquisto di un prodotto con caratteristiche commerciali e industriali, in realtà anonimo e prodotto in un numero spesso incommensurabile di copie: diventa una parte del lavoro di una persona e l’immagine della sua creatività, il dono diventa la dazione di una parte di noi stessi e del nostro tempo per suscitare gioia e piacere nel destinatario. […]

Quanti doni sono possibili

  • I prodotti dell’orto e i fiori del terrazzo, le piantine di odori, le uova di anatre, oche e galline
  • I cuccioli di animali domestici
  • Consulenze e consigli per le produzioni biologiche, di permacoltura, biodinamiche, bioenergetiche
  • Ricette di alimenti tipici e tradizionali di un luogo
  • Piatti preferiti di ciascuna famiglia o persona
  • Marmellate e conserve
  • Succhi di frutta e liquori casalinghi.
  • Fare insieme pasta e pane
  • Passaggio di vestiti, specie di bambini che crescono rapidamente rispetto al consumo dei tessuti.
  • Scambio di strumenti, attrezzi e macchine da lavoro e da giardino, scale e ponteggi.
  • Scambio di libri, Cd, Dvd, registrazioni
  • Uso di Pc e luoghi di registrazione
  • Uso di biciclette e ricorso a ciclo officine alternative
  • Riparazione di oggetti di uso comune e riciclo di quelli irrecuperabili (Repair Caffè)
  • Banche del tempo
  • Attività di animazione, facilitazione , sostegno delle dinamiche dei gruppi di base
  • Consulenze e consigli tecnici o scientifici sulla base delle rispettive professioni
  • Interventi medici e di medicina naturale o alternativa
  • Tessuti o stoffe ricamate, colorate, disegnate, ecc.
  • Piccoli oggetti artistici fatti a mano (disegni, foto, composizioni di carta o di legno, ecc.)

L’elenco può non essere completo e comunque tiene poco conto delle esperienze in corso in altre culture. Tuttavia, se ci pensate, sono tutti sapori e odori non trasformati industrialmente (e quindi con aggiunta di conservanti, coloranti e potenziatori di sapore, in genere prodotti chimici) e che vi tengono lontani da molti scaffali dei supermercati. Forse non escludono ogni forma di spesa nei grandi magazzini, ma che potrebbero ridurre fortemente l’incidenza sulla spesa quotidiana, specie nei centri abitati di minori dimensioni. Inoltre concepisce le attività lavorative e gli hobby come delle attività che possono svolgersi con forti connotazioni collettive e sociali, invece di essere obbligatoriamente collegate a una remunerazione o salario, guadagnati in luoghi fortemente strutturati, valorizzando invece il piacere umano e la possibilità di condividerlo socialmente.

Cosa c’è nel secondo cubo, più grande, ma sempre interno al cubo del capitale

La definizione più ampia che si può dare dell’economia alternativa e solidale, comprendendo tutto ciò che è da tempo in corso in un gran numero di paesi, fa riferimento a numerose attività economiche, che si svolgono secondo principi profondamente diversi da quelli che ispirano i sistemi di tipo capitalistico, e che cercano invece di perseguire scambi corretti ed equivalenti, realizzano prodotti effettivamente rispettosi dell’ambiente, danno la priorità alle buone relazioni tra le persone, siano esse produttori o consumatori, e che riducano continuamente i loro livelli di utilizzazione delle risorse naturali, dell’acqua e delle energie fossili, utilizzando invece ai massimi livelli possibili le energie provenienti da fonti rinnovabili e riducendo al minimo ogni forma di consumo eccessivo e di spreco. L’elenco che segue si arricchisce ogni anno di nuove esperienze e di innovazioni continue, poiché questa parte del mondo è alla continua ricerca di soluzioni e campi di attività che sostituiscano quelli immessi sui mercati dal sistema globale.

Le iniziative di economia alternativa e solidale da tempo attive

  • Agricoltura : produzioni biologiche, permacoltura, biodinamica, bioenergetica, contratti di prefinanziamento, filiere città-campagna, ogni tipo di rapporto diretto produttori – consumatori che si svolge a condizioni predeterminate di comune accordo.
  • Alimentazione : Gruppi di acquisto solidale, consegne a domicilio o ai mercati di prodotti selezionati, mercati contadini, orti urbani, cura giardini e spazi verdi urbani concessi a realtà locali dagli enti locali.
  • Materie prime: Botteghe del commercio equo e solidale
  • Abitazioni in paglia, legno e mattoni in terra cruda, pannelli per edilizia con isolamento in lana.
  • Mercati periodici e fiere
  • Ristorazione: Bio osterie,
  • Risparmio energetico: abitazioni passive, accorgimenti per abitazioni e condomini
  • Energie rinnovabili: autocostruzione solare ed eolica, autocostruzioni ecologiche, imprese di energia alternativa
  • Reti per raccolta e smaltimento rifiuti, rigenerazione apparecchi informatici
  • Servizi : ciclo officine; Caes, assicurazioni; Banche del tempo; punti di riuso, riparazioni, riciclo; costruzione piste ciclabili
  • Palestre e centri sportivi
  • Monete locali alternative
  • Banca Etica , MAG Mutue Auto Gestione, microcredito
  • Assicurazioni etiche
  • Interventi di protezione e restauro di beni artistici e archeologici,
  • Azioni di bonifica e salvaguardia dell’ambiente.
  • Cultura: centri culturali, biblioteche, librerie, centri studio e ricerche
  • Scuole di musica popolare, sale prove, palchi e impianti per eventi
  • Comunicazione: Radio libere, Giornali on line, giornali scolastici
  • Agricoltura sostenuta dalla comunità
  • Consiglio per una politica alimentare regionale
  • Attività di assistenza ai migranti (dalla prima accoglienza alla formazione)
  • Laboratori artigiani animati da anziani fuori del mondo del lavoro

A cosa serve l’immagine del cubo

In primo luogo ad evidenziare una visione spesso trascurata, cioè il fatto che si lavora per il nuovo mondo possibile all’interno del sistema dominante, e cioè che le scelte fatte non permettono di considerarsi “fuori” dalle logiche che ci pervadono e ci circondano. Ciò significa che perfino un eremita che vive da solo in cima ad una montagna può respirare aria inquinata o subire gli effetti del mutamento climatico. Invece è necessario essere molto coscienti dei vincoli e dei condizionamenti che ci circondano e sapere che ogni scelta ben formulata e attuata permette di sottrarsi, sia pure parzialmente, ai meccanismi dominanti mettendo in piedi e alimentando logiche ben diverse. […] Il sistema dominante tenta continuamente di recuperare qualunque spazio conquistato contro le sue regole ed ha a disposizione molti subdoli metodi per svuotare o irretire le azioni liberatorie in corso. In particolare, si impadronisce delle parole e dei comportamenti alternativi, denomina “green” attività sempre volte all’ottenimento di profitti, definisce “sostenibili” vecchi processi di accumulazione, copre con la pubblicità “alternativa” le attività produttive che continuano lo sfruttamento di tutte le materie prime con i metodi di sempre.

[…] L’immagine del cubo invita a tenere presenti gli infiniti legami che esistono tra i meccanismi del capitale e i nostri possibili comportamenti e tende a facilitare un maggior grado di coscienza della portata effettiva delle nostre scelte e delle nostre esperienze. […] La logica alla quale si ispira la descrizione del cubo può invece proprio in questi casi costituire una guida per evitare trappole e proposte falsamente alternative. […] Il segreto dell’impegno per il mondo alternativo risiede nella capacità di essere contemporaneamente “dentro” e “fuori” il sistema, cioè di essere sempre coscienti di quando si è condizionati e di quando si opera in una sfera di libertà, ma soprattutto di sapere quando, sia pure in misura minima o graduale, si sta operando per aumentare la sfera di indipendenza rispetto al sistema dominante. Ovviamente si corre il rischio, non appena valutata a fondo la forza e le pervasività delle logiche e dei meccanismi del capitale globale, di scoraggiarsi subito o di piombare nella depressione. Invece una coscienza maggiore e una capacità analitica più approfondita può permettere di comprendere a fondo il significato di ogni sia pur piccola azione, e di capire che la sottrazione, sia pure graduale, è l’unico modo di accettare la sfida e di aumentare il potere di ciascuno. Non possiamo naturalmente sapere quando riusciremo a rovesciare i rapporti di forza, e a sostituire il mondo nuovo a quello vecchio, però possiamo da subito essere parte cosciente del cambiamento necessario.

tratto dall’articolo “Il cubo del capitale” di Alberto Castagnola pubblicato su Comune-info.net il 3 Agosto 2017.

Dalla globalizzazione all’economia del dono… (seconda parte).

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Foto “Dear Capitalism…” by Anirvan – Flickr

Nel post precedente vi avevo raccontato l’analisi della globalizzazione fatta da Guido Maria Brera. In questo invece vi metterò alcuni stralci di un interessante articolo pubblicato lo scorso 29 Agosto sul quotidiano Avvenire a firma di Francesco Gesualdi. Per chi non lo conoscesse Francesco Gesualdi è un ex allievo di Don Milani e a mio avviso è l’unico che in questi 50 anni ha portato avanti il pensiero di Barbiana, attualizzandolo alla situazione economica dei tempi. Infermiere, attualmente in pensione, ha dedicato tutto il tempo libero al Centro Nuovo Modello di Sviluppo, al volontariato, alla cooperazione internazionale.
L’articolo “Aiutiamoli, a iniziare da casa nostra.” parla di migranti ma, stringi stringi, va a finire dove nel post precedente andava a parare anche Guido Maria Brera… alla roba! A quegli oggetti e quelle merci che sono la rovina della globalizzazione….

“Aiutiamoli, a iniziare da casa nostra” di Francesco Gesualdi.

Ci sono due modi di affrontare la questione immigrati: o ponendoci l’obiettivo di toglierceli dai piedi o volendoli aiutare a vivere meglio. […] La prima giustificazione che ci siamo creati è che l’obbligo di accoglienza vale solo per i rifugiati politici, mentre abbiamo il diritto di respingere i migranti economici, coloro, cioè, che sono in cerca di migliori condizioni di vita.

[…] Da sempre abbiamo considerato la libertà di movimento un diritto inalienabile e se volessimo negarlo proprio oggi che abbiamo messo merci e capitali in totale libertà, dimostreremmo di tenere in maggior considerazione le cose delle persone. Ma forse il punto è proprio il sovvertimento dei valori: la ricchezza ci ha accecato a tal punto da avere inaridito la nostra umanità. L’attenzione tutta rivolta alla roba, abbiamo perso il senso del rispetto e della giustizia, la capacità di compassione, perfino di pietà.

E non ci rendiamo conto che più sbarriamo le porte, più inneschiamo situazioni perverse che ci sfuggono di mano. Diciamocelo: i migranti che scelgono la via del deserto non sono né masochisti, né amanti dell’illegalità. Sono dei forzati alla clandestinità perché le vie di ingresso ufficiali sono precluse. Se potessero arrivare in aereo con regolare passaporto, sarebbero ben felici di farlo. […] Che le cose stiano così lo sappiamo molto bene anche noi, tant’è che il secondo alibi che ci siamo creati è che dobbiamo aiutarli a casa loro. E se lo diciamo è perché abbiamo ben chiaro che nessuno di loro affronta un viaggio così pericoloso per fare una passeggiata, ma per sfuggire a un destino crudele ora dovuto alle guerre, ora alla repressione politica, ora alla mancanza di prospettiva di vita.

Ciò che non diciamo è che questa situazione l’abbiamo creata noi attraverso 500 anni di invasioni, massacri, ruberie. La storia, alla fine presenta sempre il suo conto. L’emigrazione africana non è figlia di una sciagura transitoria, ma di un sistema di saccheggio di cui siamo stati e siamo ancora parte attiva, addirittura i suoi artefici. Per risolverla, dunque, è da qui che dobbiamo partire: dal nostro assetto produttivo e di consumo, dai nostri obiettivi economici, dai nostri rapporti commerciali, dal nostro assetto finanziario, dal nostro sostegno ai sistemi corruttivi e di rapina. Lo slogan giusto è «cambiamo le cose qui affinché cambino là». Per partire dovremmo porre uno stop serio alla vendita di armi e subito dopo dovremmo avviare nuovi rapporti economici.

Dovremmo stipulare accordi commerciali che garantiscono prezzi equi e stabili ai produttori, dovremmo imporre stabili divieti alla finanza speculativa sulle materie prime, dovremmo smetterla con accordi che autorizzano le nostre imprese a razziare i loro mari e a prendersi le loro terre, dovremmo punire le nostre imprese che non garantiscono salari dignitosi nelle loro filiere globali, dovremmo smetterla di imporre accordi commerciali che favoriscono i nostri prodotti e distruggono le loro economie, […]

Delle 181mila persone disperate sbarcate sulle nostre coste nel 2016, il 21% erano nigeriani. Eppure, grazie al petrolio, la Nigeria è una delle più grandi economie africane. Ma anche una delle più corrotte. Secondo Lamido Sanusi, già governatore della Banca centrale nigeriana, nei soli anni 2012-13 sono stati sottratti alle casse pubbliche 20 miliardi di dollari provenienti dalla vendita di petrolio alle compagnie internazionali, Eni compresa. Quei soldi sottratti ai nigeriani sono finiti sui conti cifrati aperti da personalità di governo in Svizzera, a Londra e in vari paradisi fiscali. Con la complicità di grandi banche internazionali. E non solo. Anche di Stati e Governi poco vigilanti, e l’Italia non è affatto esclusa. È proprio il caso di dire «aiutiamoli cominciando a cambiare a casa nostra».

Tratto dall’articolo “Aiutiamoli, a iniziare da casa nostra” di Francesco Gesualdi, pubblicato su Avvenire il 29 Agosto 2017

(Continua)

Dalla globalizzazione all’economia del dono… (prima parte).

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Foto “Monopoly” by James Petts – flick

Nelle scorse settimane mi è capitato di leggere/ascoltare/vedere alcune considerazioni sull’attuale situazione economica fatte da persone diversissime e, rimettendole insieme, mi sono sembrate come delle tessere di un puzzle che si incastravano tra di loro.

Il primo personaggio, che non conoscevo e che a pelle è uno di quelli antipatici sin dal primo momento, è Guido Maria Brera. Conosciuto come marito della presentatrice tv Caterina Balivo e finanziere d’assalto multimilionario, mi è sembrato una sorta di dottor Jekyll e Mr. Hyde. Da un lato agguerrito squalo della finanza, dall’altro scrittore di libri e siti web in cui spiega a noi poveri cristi come la finanza (cioè anche lui) ce lo mette nel bocciolo senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Leggendo la sua biografia in rete, sembra che sia un cattolico molto devoto alla Madonna e da questo ne ho dedotto (mia considerazione del tutto personale e opinabile) che forse, qualcuno in fase di confessione, gli deve aver detto che per farsi perdonare, invece di qualche Pater Ave e Gloria, avrebbe dovuto spiegare con parole semplici, le ripercussioni  delle sue operazioni finanziarie a noi che ne subiamo le conseguenze… E in tutto ciò, Guido Maria Brera è bravissimo! Pur non avendo letto ancora nessuno dei suoi libri (conto di leggere al più presto “Tutto è in frantumi e danza”) da diversi mesi seguo il suo blog idiavoli.com e mi piace un sacco, che detto per un blog di finanza e economia è davvero tanto.

Quello che però mi ha colpito più di tutti e mi ha fatto scoprire il personaggio è come, in una replica estiva della trasmissione della Rai “Petrolio”, in poche frasi abbia descritto la nascita e lo sviluppo della globalizzazione, di come la finanza ce l’ha fatta accettare e a quali costi…

L’inizio della globalizzazione (fine degli anni ’90 – inizio 2000) si è  caratterizzato dall’immissione sul mercato di migliaia di oggetti a prezzi irrisori: dalle magliette a 2€ fino ai telefonini e alla tecnologia a basso prezzo, in cambio dei quali la finanza ha cominciato a smantellare i diritti conquistati nel Novecento: il diritto all’istruzione pubblica, alla sanità, alla casa e a un lavoro sicuro e dignitoso. In pratica, mentre da un lato ci toglievano diritti essenziali come la sanità o il lavoro, dall’altro ci riempivano di beni inutili ma consolatori, che ci davano l’illusione di essere ricchi e di poter rinunciare a quelli che una volta erano diritti collettivi. Così facendo la globalizzazione ha rotto il patto sociale e generazionale che per molta parte del Novecento ha garantito un benessere collettivo. Brera parlava della globalizzazione ne’ più ne’ meno come di “una guerra”, combattuta non fra nazioni, ma fra classi sociali. La classica guerra tra poveri, dove il capitalismo vince sempre e tutto il resto della comunità perde i diritti fondamentali: la guerra dei giovani contro gli anziani, dei lavoratori a tempo indeterminato contro i precari, dei pensionati contro i lavoratori, degli italiani contro gli immigrati…

…il tutto per comprare una t-shirt a 2€

(Continua)

Roma: sgomberi, migranti e violenza…

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Foto “Souvenirs” by Alexander Edward – Flickr

Tornato dalle ferie e ripreso il solito tran tran quotidiano, avevo messo mano a due o tre bozze di post da pubblicare sul blog. Mi sono però imbattuto in un bellissimo articolo scritto dalla giornalista Francesca Fornario sul caso degli sgomberi dei migranti a Roma della scorsa settimana e mi è sembrato giusto condividerlo, perchè secondo me merita… Buona lettura!

“Migranti Roma, agli sgomberi io c’ero e ho visto chi sono i violenti” di Francesca Fornario

“Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio“, grida il poliziotto durante lo sgombero. Il bilancio delle cariche a piazza Indipendenza sarà infatti di piedi e nasi rotti, lividi che passeranno e ferite che no, perché si cancella il sangue dall’asfalto ma non il segno che lascia assistere, da bambino, alle manganellate inflitte a tuo padre dai poliziotti armati che irrompono in casa all’alba (è questo che ricorderanno le decine di bambini portati via a forza dallo stabile in cui vivevano da cinque anni).

E tutti, sui social, a prendere le parti, convinti da una narrazione giornalistica sciatta e in malafede che le parti in campo fossero poliziotti contro migranti, “Che però uno ha lanciato una bombola del gas”. “Che però era vuota”. Convinti che tra loro vadano cercati i violenti. Le testimonianze dei presenti circolano secondo la risonanza che trovano: “Ma quella donna l’hanno sbattuta a terra con l’idrante e poi le usciva il sangue dal naso e da un’orecchio!” (commento su Facebook). “La carezza del poliziotto a una migrante disperata” (home page di Repubblica).

A piazza indipendenza io c’ero. Avrei potuto scrivere ieri di quello che ho visto, ho preferito scrivere oggi di quello che so, perché temo che si scriva solo degli effetti e non delle cause; solo della violenza in piazza – raccontata con parole sbagliate: “gli scontri”, che in realtà sono cariche, una parte armata ne carica una disarmata – e non, invece, della violenza più impetuosa e virulenta che innesca le cariche, generando l’esclusione sociale che porta alle occupazioni abusive e agli sgomberi.

Il termine “violenza” ha, sul vocabolario, due sfumature di senso. Violenza è la furia aggressiva delle cariche e dei manganelli, quella di quando chi la esercita e chi la subisce vengono immortalati nella stessa inquadratura, consentendo a chi commenta la foto sui social di discettare su chi ha aggredito chi. Ma questa violenza di piazza non esisterebbe senza quell’altra, più esecrabile perché esercitata da chi avrebbe il compito di “rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza tra i cittadini e impediscono il pieno di sviluppo della persona”, come recita la Costituzione. La violenza dei poliziotti non si abbatterebbe sui profughi, sugli studenti, sui lavoratori in sciopero se non fosse preceduta dalla violenza dei governanti: dall’abuso, la prevaricazione, la violazione del diritto. “Violenza” è violare la Costituzione che contempla la casa e il lavoro tra i diritti fondamentali – come il diritto dell’esule a ricevere protezione – bloccando l’assegnazione delle case popolari e sbloccando le concessioni edilizie ai palazzinari.

Violenza è la prevaricazione dei molto ricchi sui molto poveri, il privilegio metodicamente concesso per legge ai più facoltosi, anche tra gli immigrati: gli stranieri con grandi patrimoni vengono invitati a stabilire in Italia la residenza godendo di un formidabile sconto sulle tasse per poter fare la bella vita; gli stranieri senza grandi patrimoni vengono respinti nei paesi dai quali fuggono per sopravvivere. Questa violenza feroce non si accanisce solo sui migranti ma sui poveri in genere, perché il potere – a differenza dei poveri cristi che umilia e perseguita – non è razzista: è classista. Agli sceicchi arabi le istituzioni destinano lo scudo, ai profughi eritrei il manganello, a chi costruisce ville abusive lo scudo e ai senza tetto che occupano uno stabile abbandonato il manganello.

Mai il contrario: avete mai visto la polizia caricare i banchieri che truffano i pensionati o pestare gli industriali che sfruttano i lavoratori? “Creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all’abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso”, recita una sentenza della Corte costituzionale (n. 217 del 25 febbraio 1988).

Questo “diritto inviolabile all’abitazione” viene invocato per il miliardario che non paga tasse sulla prima casa e calpestato per l’esule del quale le istituzioni dovrebbero farsi carico: violato per l’esule sotto protezione come per il cassaintegrato sotto sfratto, per il precario che vive con i genitori perché senza un contratto stabile la banca non concede il mutuo e via elencando le miserie dei miseri che si accaniscono gli uni contro gli altri invece di coalizzarsi per ribellarsi a chi li riduce in miseria.

La violenza andata in scena a Roma – e nel resto del Paese – è questa. La sistematica difesa del privilegio, il pervicace oltraggio del diritto. Sono queste le cause dell’emergenza abitativa che – come ho scritto qui – non è un’emergenza: non è un accidente imprevisto ma è il frutto di precise scelte politiche. È vile prendersela con chi per disperazione ha lanciato una bombola, è troppo comodo prendersela solo con la Polizia. Bisogna condannare i violenti che hanno fermato l’assegnazione delle case popolari esistenti e impedito che se ne costruissero di nuove con fondi già destinati e su aree pubbliche di piccole dimensioni perché “Siamo contro il consumo di suolo” e, contemporaneamente, hanno accordato ai privati il permesso di cementificare 20 ettari di suolo per costruire lo stadio.

Con i violenti che tolgono un tetto sopra la testa a decine di famiglie per restituirlo a un fondo immobiliare che ne farà un centro commerciale. Con i violenti che hanno scritto e votato una legge concepita allo scopo di respingere gli esuli lasciandoli morire in mare e nelle carceri libiche. Con i violenti che hanno scritto e votato una legge che consentire lo sfruttamento dei richiedenti asilo (è di ieri il caso della cooperativa di Treviso che proponeva alle aziende del territorio ragazzi “gentili, umili, volenterosi, con un’ottima resistenza fisica e che non avanzano alcuna pretesa dal punto di vista retributivo, professionale o di turnazione” disposti ad accettare una paga di 400 euro al mese), ultima di molte leggi violente scritte per consentire lo sfruttamento di tutti i lavoratori.

I violenti sono quelli che mandano in pensione a 68 anni un metalmeccanico che lavora all’altoforno – condizione che determina una riduzione dell’aspettativa di vita di sette anni – e non ci mandano affatto un precario. Sono quelli che poi mandano la polizia a caricare migranti, metalmeccanici e precari. “Devono sparire”, ha detto ai suoi il poliziotto riferendosi ai rifugiati, come direbbe un netturbino diligente dei mozziconi di sigaretta. La violenza delle manganellate contro gli inermi è l’inevitabile conseguenza del reagire alla povertà come si reagisce allo sporco sui marciapiedi, trattando gli esseri umani peggio delle cose: picchiando i primi per proteggere le seconde.

Le manganellate, quando si affida la gestione del disagio abitativo a persone armate di manganello, non sono un incidente. La violenza non è un incidente. È il nuovo – vecchissimo – imperativo morale del potere. Dopo il fascismo, avevamo scritto una Costituzione che aveva tra gli scopi più nobili quello di combattere le disuguaglianze e la povertà. L’abbiamo tradita per combattere i poveri. Con una furia che oltre che ignobile è demenziale: dopo 20 anni di leggi e politiche che hanno diligentemente concesso sconti e agevolazioni fiscali ai ricchi, precarizzato il lavoro, compresso i salari e i diritti, alimentato le speculazioni immobiliari, fermato l’edilizia popolare, tagliato i servizi e l’assistenza mentre si acquistavano cacciabombardieri tornado, i poveri sono triplicati. Sono quasi cinque milioni gli italiani in povertà assoluta, circa otto quelli in povertà relativa, più di dodici quelli che rinunciano alle cure mediche perché non possono permettersele. Gli stessi che hanno votato e scritto le leggi che hanno moltiplicato i poveri, sguinzagliano in strada i poliziotti per farli sparire.

A Roma la polizia è stata schierata contro i profughi senza casa, in difesa del capitale di un fondo immobiliare, a conclusione di un ciclo storico coerente: prima abbiamo invaso e saccheggiato l’Etiopia e l’Eritrea, depredato quei paesi di ogni risorsa, riducendo in schiavitù donne e bambine. Poi abbiamo armato e finanziato il regime di un dittatore sanguinario come Afewerki, accusato dall’Onu di crimini contro l’umanità. Infine, abbiamo sfrattato i profughi etiopi e eritrei che la legge ci impone di accogliere e proteggere (la legge, non il buon cuore) e manganellato quelli che resistevano allo sfratto. Il tutto, da un secolo a questa parte, per accumulare ricchezze nelle mani di pochi sempre più ricchi a scapito dei molti sempre più poveri.
La violenza inferta ogni giorno da chi dovrebbe proteggerci è questa e il razzismo, oggi come allora, è solo il veleno iniettato alle masse attraverso la propaganda mediatica per evitare che ogni povero si accorga che ogni altro povero gli somiglia.

P.s.: Qualche giorno fa, preoccupati per l’attacco alle Ong, abbiamo scritto un appello. Lo abbiamo firmato quasi in quindicimila. Tra i primi, lo hanno condiviso Erri De Luca, Vauro, Michela Murgia, Padre Alex Zanotelli, Tomaso Montanari, Anna Falcone, Alberto Prunetti, Moni Ovadia, Marco Revelli, Livio Pepino, Marta Fana, Christian Raimo, Mauro Biani, Giulio Cavalli, Alessandro Gilioli. Tanti i portavoce di associazioni e le realtà di base impegnate nell’accoglienza, da Filippo Miraglia dell’Arci a Giuseppe De Marzo di Libera; Monica Di Sisto di Stop Tiip e Ceta, Patrizio Gonella di Antigone, Domenico Chionnetti della Comunità Don Gallo, Baobab Experience, l’Ex-Opg occupato di Napoli, la Casa Internazionale delle Donne, Tpo Bologna e Labas occupato, sindacati come Si Cobas, i segretari di molti partiti che mettono la questione sociale tra le priorità: Maurizio Acerbo di Rifondazione, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, Giuseppe Civati di Possibile, DeMa: il movimento di Luigi De Magistris, gli europarlamentari de L’Altra Europa, tantissimi comuni cittadini, ricercatori, persone impegnate nell’accoglienza. La nostra preoccupazione non sembra condivisa dalla maggioranza delle persone. Non lo era nemmeno quella dei professori universitari che si opposero a Mussolini rifiutandosi di aderire al Fascismo: furono appena 12 su 1250. Moltissimi altri cambiarono idea, col tempo.

È qui, vi invito a firmarlo: www.progressi.org/iopreferireidino

Articolo “Migranti Roma, agli sgomberi io c’ero e ho visto chi sono i violenti” di Francesca Fornario pubblicato il 26 Agosto 2017 sul sito de “Il fatto quotidiano”