Un film: Finchè c’è prosecco c’è speranza (2017).

Questo film (tratto dall’omonimo libro di Fulvio Ervas) l’ho trovato per caso su un sito di streaming e mi è piaciuto molto. Il conte Desiderio Ancillotto, produttore di prosecco, non usa pesticidi e concimi chimici, fa “riposare il terreno” e usa quelle tecniche  che rientrano in quell’agricoltura bio-sostenibile che mira più alla qualità che alla quantità. Per queste sue scelte si è fatto molti nemici e sarebbe il primo indagato quando alcuni di questi vengono ammazzati, uno dopo l’altro. Solo che il conte si è suicidato alcuni giorni prima dell’inizio degli omicidi. Da qui si dipana la trama del giallo in cui l’ispettore Stucky (Giuseppe Battiston) cerca goffamente di risolvere il caso, fra osterie, panorami della Valdobbiadene e varia umanità.  Non è un capolavoro ma un film onesto e gradevole da guardare sul divano.

Quello che mi ha colpito è che finalmente si trattino argomenti come l’agricoltura biologica, la sostenibilità, la giustizia, la tutela della salute e dell’ambiente, in un film piacevole e per tutti. Di solito questi argomenti sono sviluppati in saggi, post, articoli di giornale dove si riportano tabelle, elenco dei pesticidi ritrovati nelle analisi dei cibi, numero dei malati di tumore, cronache di comitati ambientalisti, tribunali e così via. Tutti argomenti interessantissimi (io leggo molte cose di questo tipo), ma trattati in modo che alla fine rimani con un misto di rabbia, depressione e impotenza, per come il profitto uccide l’ambiente e le persone.

Trattare gli stessi temi con un po’ di garbo e morbidezza, specialmente in periodi come questi, secondo me è la chiave di volta per avvicinare le persone a questi argomenti così importanti, senza dover per forza deprimerle. Se su uno di questi temi ci trovi una fiammella di speranza magari ti viene voglia pure di impegnarti…

p.s. I luoghi del film sono molto particolari. Potrebbero essere l’idea per weekend in Veneto: trovate tutte le info qui

Ex-Ilva e Dolní Vítkovice: Italia e Repubblica Ceca.

Giugno 2009. Mia figlia fu convocata per partecipare ai Mondiali Juniores di Danza Sportiva, disciplina Disco-Dance. La nazione che ospitò la gara fu la Repubblica Ceca, in una città all’epoca a noi sconosciuta: Ostrava. In previsione del viaggio, contando di fare anche un po’ di turismo, comprai un paio di guide della Repubblica Ceca. Le poche righe dedicate alla città erano impietose: località mineraria con altoforni, grigia, sporca, inquinata e con pochi monumenti (quelli salvati dai bombardamenti che distrussero il centro siderurgico nella seconda guerra mondiale). Una di queste guide la buttava anche sul ridere consigliando di non dire ai cechi che andavamo a Ostrava per turismo, per non essere presi per matti!…

Arrivammo a Ostrava all’ora di cena e ci fermammo in periferia. L’impressione fu contraddittoria: tristi palazzoni giganteschi dell’era socialista (come l’hotel dove alloggiavamo) accanto alla bellissima Ostravar Arena, il palazzetto che ospitò le gare e che è una specie di astronave, dalla capienza simile al Palaforum di Assago, ma architettonicamente molto più bella. Intorno strade pulite e giardinetti curati. Nei giorni successivi andammo anche in centro:  località linda e carina ma con ciminiere e tubazioni fin quasi dentro al centro città. Dato che la città è tutta in pianura comunque ti girassi, nel panorama svettava il siderurgico. La città sarà stata pure inquinata ma l’aria era limpida e frizzantina: non c’erano polveri e il mostro non faceva paura. Semplicemente perchè le miniere erano state chiuse nel 1994 e gli altiforni nel 1998. Infatti c’erano grossi lavori di restauro per convertire la città e l’impianto siderurgico come attrattiva turistica. All’epoca era già aperto un piccolo museo e un tratto di gallerie delle miniere.

Ho cercato su Internet come vanno le cose oggi, dopo 10 anni: nella zona degli altiforni sono stati creati almeno una quindicina di musei, centri culturali e di intrattenimento per famiglie, hall multifunzionali, etc…  Il siderurgico da alcuni anni ospita the Colours of Ostrava, uno dei maggiori festival musicali dell’Europa Centro Orientale (dal cui sito ufficiale provengono le foto che vedete). E tutta la città è diventata la porta turistica d’accesso verso la Moravia. Logicamente rimangono ancora piccolissime zone da bonificare e Ostrava ha un livello di disoccupazione leggermente più alto di altre città ceche, ma il presente è radioso e il futuro tracciato.

Vi ho raccontato di Ostrava perchè l’ho vista con i miei occhi ma avrei potuto raccontarvi di come la tedesca Ruhr è stata riconvertita anch’essa al turismo o di come la Polonia si avvia a essere l’unico paese europeo ad aver rimosso tutto l’amianto dai suoi edifici. Basta pensare all’Ilva per capire che l’Italia è lontana anni luce dall’Europa. Ma quello che fa più arrabbiare è che tutta la classe dirigente (politici, sindacalisti, manager, giornalisti) guardi sempre e soltanto all’indietro. Che si invochi la nazionalizzazione o che si chieda l’intervento di altre società e cordate, tutti vogliono continuare a produrre l’acciaio e nessuno immagina un futuro completamente diverso a Taranto!

Quando leggo che l’ex-Ilva è l’unico polo siderurgico europeo a ciclo continuo e che questo è un motivo per cui andrebbe salvata, mi viene in mente quell’automobilista che andava contromano in autostrada e si meravigliava degli altri conducenti che andavano contro di lui. Dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi quali sono stati gli stati europei con le più grandi miniere e centri siderurgici? La Germania, il Belgio, il Regno Unito, la Polonia e vari altri paesi dell’Europa Centro Orientale. Se nessuno di questi ha più questi poli,  tutti hanno chiuso le loro miniere e bonificato i siti rendendoli belli e turistici, possibile che abbiano tutti torto e l’Italia, che si ostina a tenere in vita l’inquinantissima ex-Ilva, abbia ragione? Se questi poli non sono strategici per la Germania perchè dovrebbero esserlo per noi?

Non ho risposte, ma temo che la rovina dell’Italia sia proprio cercare le soluzioni dei problemi con lo sguardo rivolto al passato, senza avere la benchè minima capacità di immaginare il futuro. Un futuro che non sia la prossima tornata elettorale ma l’idea di nazione per le generazioni future!

Se Ostrava si è ripulita e reinventata turistica senza nemmeno aver il mare… perchè Taranto no?

p.s. Le foto che appaiono nel post sono tratte dal sito del festival Colours of Ostrava.

Il tempo delle cattedrali.

Vedere Notre-Dame in fiamme fa male, molto male… Potrei raccontare delle mie disavventure a Parigi (nel 2007 sono stato salvato dai  sapeurs-pompiers) ma non voglio fare un post di ricordi personali.

Notre-Dame fa male perchè, prima di tutto è un simbolo. Notre-Dame non è una cattedrale, è LA cattedrale! Ce ne sono centinaia di cattedrali, sicuramente più belle di Notre-Dame, ma se penso all’idea stessa di cattedrale, togliendo (per puro campanilismo) il Duomo di Firenze, rimangono due sole grandi chiese: la cattedrale del passato (Notre-Dame) e quella del futuro (la Sagrada Familia). Ci sono tanti luoghi di culto (non solo cattolici) che sono immensi, altri che custodiscono opere d’arte ma solo pochi sono quelli che io definisco “cattedrali”: ovvero oasi dello spirito, bolle di pace dentro alle città, astronavi fuori dal tempo… Ma cosa rende una chiesa di pietra un’astronave dello spirito?

Secondo me innanzitutto c’è qualcosa di mistico, un senso di pace che ti prende quando ci entri. Sei a migliaia di km da casa, in un luogo che magari  non hai mai visto eppure quando ci metti piede e alzi lo sguardo ti senti come “essere a casa”. Trovarti in un luogo e sentirne la serenità: un luogo “sconosciuto” ma allo stesso tempo “familiare” dove la tua anima trova pace. Può essere una chiesa ma potrebbe essere anche un bosco… una cattedrale della natura. Saranno solo suggestioni, ma non è un caso che le cattedrali sono costruite su antichi templi e magari i templi su strutture ancora più antiche e sempre riconosciute come luoghi spirituali. Ci sono teorie di linee e nodi energetici sui cui sorgerebbero molti luoghi di culto. Un esempio è la linea energetica che unirebbe le tre grandi chiese dell’Arcangelo Michele: Mont Saint Michel, la Sacra di San Michele in Piemonte e Monte Sant’Angelo sul Gargano. Chissà…

Le cattedrali sono anche astronavi fuori dal tempo. Chi l’ha fondate e ne ha iniziato la costruzione è morto senza vederne la fine, forse ne ha visto solo un piano o le fondamenta. Chi ha fatto il tetto o la Flèche come Viollet-le-Duc  a Notre-Dame è arrivato dopo 6 secoli da chi magari aveva scolpito i portali nel 1250. A Notre-Dame c’è il Gotico ma anche il Rinascimento, il Barocco , il Neoclassico e ci sarà in futuro qualche nuovo stile che ancora non immaginiamo… magari in un quadro o in un arredo. Partire dal passato ed essere proiettati nel futuro, oltre le generazioni, è il fascino delle cattedrali: sopravvivere in età alle vite umane e portarne il segno di tutte (come ad esempio l’astronauta nel portale della cattedrale di Salamanca). E’ questo che attira tante persone alla Sagrada Familia di Barcellona: vedere una cattedrale in divenire pur sapendo che non basterà una vita per vederla completata. Nel nostro mondo consumista del tutto e subito i tempi delle cattedrali sono un’assurdità e anche investirci dei soldi senza averne un tornaconto immediato può sembrare senza senso… E’ come piantare un seme sapendo che i primi frutti di quell’albero li mangeranno i tuoi nipoti, quando ormai tu sarai morto da anni. In fondo anche chi finanziava le cattedrali nel Medioevo al massimo sperava di averne un tornaconto nell’altra vita, magari accorciando la permanenza in Purgatorio.

Infine le cattedrali sono forse l’unico monumento davvero di tutti. Quelle pietre nel tempo sono state calpestate da ogni strato sociale: dai mendicanti agli imperatori che andavano a farsi incoronare, dai fedeli che vanno alla messa fino ai turisti, da chi vi cercava rifugio per l’anima a chi più prosaicamente per scampare alla giustizia.  E anche in quelle opere d’arte che ammiriamo col naso all’insù, c’è di tutto: dall’artista famoso, fino all’umile scalpellino o falegname che ha dato forma fisica al progetto del grande architetto. E non di rado nelle mura esterne delle cattedrali c’è qualche effige di animale che ha partecipato ai lavori… cavalli, asini e muli che hanno trainato le pietre o il legname per costruire quei muri. Per questo odio profondamente chi fa pagare un biglietto per entrare in una cattedrale, che è e dovrebbe restare una “casa” di tutti, indipendentemente dall’essere religioso o meno…

Insomma, dai poveri ai ricchi, dal medioevo a oggi la storia di una comunità (cittadina ma anche continentale) è racchiusa in quell’astronave chiamata cattedrale. Per questo fa male vedere Notre-Dame in avaria…

Un documentario: Il ciclo del progresso (2018)

Locandina del film - tratta da Wikipedia
Locandina del film – tratta da Wikipedia

L’altro giorno avevo una mezz’oretta libera, così mi sono buttato sul divano e ho cercato su Netflix qualcosa di breve da vedere in quel lasso di tempo. Senza saperlo mi sono imbattuto in uno splendido documentario, vincitore dell’Oscar 2019 come miglior cortometraggio documentario: “Il ciclo del progresso” (“Period. End of Sentence” titolo in inglese).

Siamo in India e il tema è un tabù nelle zone rurali: le mestruazioni. Gli uomini ignorano totalmente cosa sia il ciclo e le donne ne sono così condizionate che non ne parlano mai. Spesso, quando appare per la prima volta, le ragazze abbandonano la scuola definitivamente e si chiudono in casa. Quando hanno il ciclo sono considerate impure e non possono nemmeno andare al tempio. Solo il 10% delle donne usa gli assorbenti, in alcuni casi perchè costano molto e non possono permetterseli, ma nella maggioranza perchè si vergognano ad andare a comprarli nei negozi, che sono abitualmente gestiti da uomini.

Il documentario racconta di come una ong ha creato delle macchine piuttosto semplici per fabbricare gli assorbenti a casa e come, grazie a questi macchinari, un gruppo di donne ha conquistato libertà e indipendenza. Gli assorbenti “artigianali” funzionano meglio di quelli industriali, costano meno e oltre ad essere venduti nei negozi vengono venduti porta a porta, in riunioni di donne, dove diventano accessibili anche a quelle che si vergognano ad andare in negozio. Questo ha consentito a molte ragazze di poter tornare a scuola e alle donne che li fabbricano di avere un reddito che ha restituito loro indipendenza e dignità, sia presso i familiari che nei loro villaggi. Un esempio su tutte: una giovane donna che grazie alla fabbricazione e alla vendita di questi assorbenti ha potuto studiare per affrontare gli esami ed entrare in polizia.

Se avete Netflix… sono 25 minuti di video spesi bene… se fosse per me io lo farei vedere anche nelle scuole.

Il sito ufficiale del film: www.thepadproject.org

Il trailer

Una frase di Jim Morrison

Fai attenzione alle piccole cose, perchè un giorno ti volterai e capirai che erano grandi.

Jim Morrison (Melbourne 1943 – Parigi 1971) cantautore e poeta.

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Foto “BARIT✪N” by Steffi Reichert – flickr

Raccontare vite.

Foto presa da Internet
Foto presa da Internet

Stamani, mentre stavo facendo colazione, ho visto il reportage fatto da un giornalista di Skynews, salito a bordo della nave Lifeline. Ha intervistato alcuni migranti che erano sulla nave: un giovane che ha raccontato di essere fuggito dal Sudan dove non ci sono medicine, ne’ luoghi per curarsi, ne’ scuole per i bambini e una ragazza che ha testimoniato che per arrivare dal Sudan ci ha messo tre anni, anni fatti di prigionia, torture e botte, fino a quando non ha finalmente racimolato tutti i soldi per la traversata. Il giornalista ha poi intervistato il comandante della nave che ha ricordato che tutto l’equipaggio a bordo è fatto da volontari che usano le proprie ferie per “andare al mare”, cioè in mezzo al Mediterraneo a salvar vite umane. Ha tenuto perfino a precisare che il volo aereo dalla Germania a Malta, dove si è imbarcato, se l’è pagato di tasca sua…

Del servizio mi hanno colpito due cose…

  • La prima è che i migranti sono consapevoli che sono lì in mezzo al mare perchè nessuno in Europa li vuole. Ora non serve essere un premio Nobel per capire che questa gente, se la accogli e cerchi di integrarla, ti sarà riconoscente per sempre. Se la rifiuti, non si darà certo per vinta. Figurati se chi ha vagato nel deserto per anni, è stato torturato, picchiato e ha resistito su un gommone in mezzo al mare, si arrende quando è a un passo dalla salvezza… Insomma, cercheranno di arrivare comunque. Respingerli, criminalizzarli, come fa Trump con i messicani, non ci libererà di loro… ma potrà far si che qualcuno di loro voglia ricambiare il rifiuto ricevuto, col rischio di trasformare dei disperati in terroristi…
  • La seconda ha gli occhi vispi di una bimbetta di tre anni che giocava sulla barca… Che tutta  l’Unione Europea, un colosso economico con 28 nazioni e oltre 503 milioni di abitanti, abbia paura e si spacchi perchè una bimbetta e la madre chiedono di essere accolte e magari di frequentare un asilo, ancor prima di essere crudele, è ridicolo. Col finale che la somma “crudele + ridicolo” dia come risultato… “imbecille”.

Credo che per smontare il racconto di  Salvini e il clima di paura che partiti come il suo cavalcano e dirigono, basti una cosa semplice: raccontare vite umane. Raccontare vite trasforma i numeri in persone e spesso ci si accorge che quelli che vengono dipinti come “pericoli” e “nemici” sono come noi, anzi sono come noi ma… più fragili!

Torna Milano da leggere (…e stavolta da ridere).

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Foto “Duomo di Milano” by Lorenzoclick – Flickr

Come lo scorso anno il sistema bibliotecario della città di Milano lancia l’iniziativa Milano da leggere. Fino al 30 Giugno 2018 sarà possibile scaricare gratuitamente 10 ebook ambientati nel capoluogo lombardo. Se lo scorso anno il tema erano i gialli quest’anno i libri racconteranno Milano attraverso la lente dell’umorismo e dell’ironia. Ci potete trovare libri di Enrico Bertolino, di Beppe Viola, Gino e Michele e molti altri. Restano scaricabili anche altri 9 volumi pubblicati negli scorsi anni che sono di pubblico dominio con opere di Verga, De Marchi e altri.

Buone letture gratuite!

Kilometro Zero

Siete in attesa della finale di Sanremo? O Sanremo vi è già venuto a noia… In ogni caso c’è una Uova Proposta… anzi Duova proposta… con Kilometro zero, che poi si rifà anche al tema della spesa e dei sacchetti di plastica dei post precedenti! Buon divertimento e Buon fine settimana!

Considerazioni sulle intimidazioni naziste a Como.

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Foto “Nazis no” by Daniel Lobo – Flickr

Sicuramente avete visto in tutti i TG il Video del Blitz dei nazisti veneti nella sede di “Como senza frontiere“. Non è la prima volta: qui c’è un altro video di un’altra incursione degli stessi fascisti a Mantova. E queste sono le riflessioni delle persone che hanno subito il blitz a Como (altro video qui).

Ho rivisto i video e, aldilà delle condanne di rito apparse su tutti  i media, vorrei fare alcune brevi  considerazioni.

  • La reazione dei presenti alla riunione è stata encomiabile. Non so se erano impietriti dal terrore e dallo sconcerto oppure, se come ha detto qualche giornalista, era compostezza. Di fatto, che tutto ciò sia stato voluto o meno, è stato un bell’esempio di nonviolenza gandhiana. Sarebbe bastata una minima scintilla per scapparci una rissa (che forse i fascisti cercavano pure) e invece no. La volontaria che li ha salutati con la frase «Noi vi abbiamo rispettati» ha messo il timbro sulla differenza fra le persone civili e quelle no…  infatti i fascisti hanno risposto «Nessun rispetto per voi».
  • Dal video, e anche dalle testimonianze dei volontari che erano lì, si ha la sensazione di un testo oltre che delirante nei contenuti, soprattutto sgrammaticato e  letto in modo così meccanico da dare la sensazione che colui che leggeva non capisse nemmeno quello che stava leggendo. Questi skinheads ameranno pure la patria ma sembra che non abbiano degli ottimi rapporti con la lingua italiana. Se aggiungiamo che erano anche vestiti tutti uguali e che anche nell’altro video di Mantova parlano sempre per slogan… beh l’aggettivo che mi viene in mente è “pecoroni”… e detto per delle persone che mirano al giorno da leoni è tutto dire.
  • Logicamente l’intimidazione è gravissima e non va sottovalutata, però ha anche un suo lato comico. L’atto eversivo più grosso che si vede nel video è stato abbassare il termostato del riscaldamento… Partire in 15 da Vicenza, farsi 250 km all’andata e 250 km al ritorno, col risultato di abbassare un termostato, è così ridicolo che nemmeno le Sturmtruppen di Bonvi…
  • L’unica cosa che mi sarei aspettato in un paese civile è che in questi due giorni, oltre alle condanne di rito via mass media, qualcuno dei nostri politici fosse andato a dare di persona la propria solidarietà ai volontari di Como, visto che oltretutto sono tutti a giro per l’Italia in “parate” elettorali… Si vede che i politici non hanno capito la gravità del problema, oppure sono ancora lì a studiare quante percentuali perdono o guadagnano nei sondaggi se vanno a stringere la mano ai volontari di Como. In ogni caso, più passano i giorni e più i nostri politici fanno cadere le braccia… Se pensiamo che dobbiamo ancora sorbirci mesi di campagne elettorali… Addio!

Conclusione? Non c’è una conclusione… solo tanta tristezza e forse la consapevolezza che se vogliamo uscire da questa situazione solo una cosa ci salverà: LA CULTURA CONTRO L’IGNORANZA!

Roma: sgomberi, migranti e violenza…

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Foto “Souvenirs” by Alexander Edward – Flickr

Tornato dalle ferie e ripreso il solito tran tran quotidiano, avevo messo mano a due o tre bozze di post da pubblicare sul blog. Mi sono però imbattuto in un bellissimo articolo scritto dalla giornalista Francesca Fornario sul caso degli sgomberi dei migranti a Roma della scorsa settimana e mi è sembrato giusto condividerlo, perchè secondo me merita… Buona lettura!

“Migranti Roma, agli sgomberi io c’ero e ho visto chi sono i violenti” di Francesca Fornario

“Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio“, grida il poliziotto durante lo sgombero. Il bilancio delle cariche a piazza Indipendenza sarà infatti di piedi e nasi rotti, lividi che passeranno e ferite che no, perché si cancella il sangue dall’asfalto ma non il segno che lascia assistere, da bambino, alle manganellate inflitte a tuo padre dai poliziotti armati che irrompono in casa all’alba (è questo che ricorderanno le decine di bambini portati via a forza dallo stabile in cui vivevano da cinque anni).

E tutti, sui social, a prendere le parti, convinti da una narrazione giornalistica sciatta e in malafede che le parti in campo fossero poliziotti contro migranti, “Che però uno ha lanciato una bombola del gas”. “Che però era vuota”. Convinti che tra loro vadano cercati i violenti. Le testimonianze dei presenti circolano secondo la risonanza che trovano: “Ma quella donna l’hanno sbattuta a terra con l’idrante e poi le usciva il sangue dal naso e da un’orecchio!” (commento su Facebook). “La carezza del poliziotto a una migrante disperata” (home page di Repubblica).

A piazza indipendenza io c’ero. Avrei potuto scrivere ieri di quello che ho visto, ho preferito scrivere oggi di quello che so, perché temo che si scriva solo degli effetti e non delle cause; solo della violenza in piazza – raccontata con parole sbagliate: “gli scontri”, che in realtà sono cariche, una parte armata ne carica una disarmata – e non, invece, della violenza più impetuosa e virulenta che innesca le cariche, generando l’esclusione sociale che porta alle occupazioni abusive e agli sgomberi.

Il termine “violenza” ha, sul vocabolario, due sfumature di senso. Violenza è la furia aggressiva delle cariche e dei manganelli, quella di quando chi la esercita e chi la subisce vengono immortalati nella stessa inquadratura, consentendo a chi commenta la foto sui social di discettare su chi ha aggredito chi. Ma questa violenza di piazza non esisterebbe senza quell’altra, più esecrabile perché esercitata da chi avrebbe il compito di “rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza tra i cittadini e impediscono il pieno di sviluppo della persona”, come recita la Costituzione. La violenza dei poliziotti non si abbatterebbe sui profughi, sugli studenti, sui lavoratori in sciopero se non fosse preceduta dalla violenza dei governanti: dall’abuso, la prevaricazione, la violazione del diritto. “Violenza” è violare la Costituzione che contempla la casa e il lavoro tra i diritti fondamentali – come il diritto dell’esule a ricevere protezione – bloccando l’assegnazione delle case popolari e sbloccando le concessioni edilizie ai palazzinari.

Violenza è la prevaricazione dei molto ricchi sui molto poveri, il privilegio metodicamente concesso per legge ai più facoltosi, anche tra gli immigrati: gli stranieri con grandi patrimoni vengono invitati a stabilire in Italia la residenza godendo di un formidabile sconto sulle tasse per poter fare la bella vita; gli stranieri senza grandi patrimoni vengono respinti nei paesi dai quali fuggono per sopravvivere. Questa violenza feroce non si accanisce solo sui migranti ma sui poveri in genere, perché il potere – a differenza dei poveri cristi che umilia e perseguita – non è razzista: è classista. Agli sceicchi arabi le istituzioni destinano lo scudo, ai profughi eritrei il manganello, a chi costruisce ville abusive lo scudo e ai senza tetto che occupano uno stabile abbandonato il manganello.

Mai il contrario: avete mai visto la polizia caricare i banchieri che truffano i pensionati o pestare gli industriali che sfruttano i lavoratori? “Creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all’abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso”, recita una sentenza della Corte costituzionale (n. 217 del 25 febbraio 1988).

Questo “diritto inviolabile all’abitazione” viene invocato per il miliardario che non paga tasse sulla prima casa e calpestato per l’esule del quale le istituzioni dovrebbero farsi carico: violato per l’esule sotto protezione come per il cassaintegrato sotto sfratto, per il precario che vive con i genitori perché senza un contratto stabile la banca non concede il mutuo e via elencando le miserie dei miseri che si accaniscono gli uni contro gli altri invece di coalizzarsi per ribellarsi a chi li riduce in miseria.

La violenza andata in scena a Roma – e nel resto del Paese – è questa. La sistematica difesa del privilegio, il pervicace oltraggio del diritto. Sono queste le cause dell’emergenza abitativa che – come ho scritto qui – non è un’emergenza: non è un accidente imprevisto ma è il frutto di precise scelte politiche. È vile prendersela con chi per disperazione ha lanciato una bombola, è troppo comodo prendersela solo con la Polizia. Bisogna condannare i violenti che hanno fermato l’assegnazione delle case popolari esistenti e impedito che se ne costruissero di nuove con fondi già destinati e su aree pubbliche di piccole dimensioni perché “Siamo contro il consumo di suolo” e, contemporaneamente, hanno accordato ai privati il permesso di cementificare 20 ettari di suolo per costruire lo stadio.

Con i violenti che tolgono un tetto sopra la testa a decine di famiglie per restituirlo a un fondo immobiliare che ne farà un centro commerciale. Con i violenti che hanno scritto e votato una legge concepita allo scopo di respingere gli esuli lasciandoli morire in mare e nelle carceri libiche. Con i violenti che hanno scritto e votato una legge che consentire lo sfruttamento dei richiedenti asilo (è di ieri il caso della cooperativa di Treviso che proponeva alle aziende del territorio ragazzi “gentili, umili, volenterosi, con un’ottima resistenza fisica e che non avanzano alcuna pretesa dal punto di vista retributivo, professionale o di turnazione” disposti ad accettare una paga di 400 euro al mese), ultima di molte leggi violente scritte per consentire lo sfruttamento di tutti i lavoratori.

I violenti sono quelli che mandano in pensione a 68 anni un metalmeccanico che lavora all’altoforno – condizione che determina una riduzione dell’aspettativa di vita di sette anni – e non ci mandano affatto un precario. Sono quelli che poi mandano la polizia a caricare migranti, metalmeccanici e precari. “Devono sparire”, ha detto ai suoi il poliziotto riferendosi ai rifugiati, come direbbe un netturbino diligente dei mozziconi di sigaretta. La violenza delle manganellate contro gli inermi è l’inevitabile conseguenza del reagire alla povertà come si reagisce allo sporco sui marciapiedi, trattando gli esseri umani peggio delle cose: picchiando i primi per proteggere le seconde.

Le manganellate, quando si affida la gestione del disagio abitativo a persone armate di manganello, non sono un incidente. La violenza non è un incidente. È il nuovo – vecchissimo – imperativo morale del potere. Dopo il fascismo, avevamo scritto una Costituzione che aveva tra gli scopi più nobili quello di combattere le disuguaglianze e la povertà. L’abbiamo tradita per combattere i poveri. Con una furia che oltre che ignobile è demenziale: dopo 20 anni di leggi e politiche che hanno diligentemente concesso sconti e agevolazioni fiscali ai ricchi, precarizzato il lavoro, compresso i salari e i diritti, alimentato le speculazioni immobiliari, fermato l’edilizia popolare, tagliato i servizi e l’assistenza mentre si acquistavano cacciabombardieri tornado, i poveri sono triplicati. Sono quasi cinque milioni gli italiani in povertà assoluta, circa otto quelli in povertà relativa, più di dodici quelli che rinunciano alle cure mediche perché non possono permettersele. Gli stessi che hanno votato e scritto le leggi che hanno moltiplicato i poveri, sguinzagliano in strada i poliziotti per farli sparire.

A Roma la polizia è stata schierata contro i profughi senza casa, in difesa del capitale di un fondo immobiliare, a conclusione di un ciclo storico coerente: prima abbiamo invaso e saccheggiato l’Etiopia e l’Eritrea, depredato quei paesi di ogni risorsa, riducendo in schiavitù donne e bambine. Poi abbiamo armato e finanziato il regime di un dittatore sanguinario come Afewerki, accusato dall’Onu di crimini contro l’umanità. Infine, abbiamo sfrattato i profughi etiopi e eritrei che la legge ci impone di accogliere e proteggere (la legge, non il buon cuore) e manganellato quelli che resistevano allo sfratto. Il tutto, da un secolo a questa parte, per accumulare ricchezze nelle mani di pochi sempre più ricchi a scapito dei molti sempre più poveri.
La violenza inferta ogni giorno da chi dovrebbe proteggerci è questa e il razzismo, oggi come allora, è solo il veleno iniettato alle masse attraverso la propaganda mediatica per evitare che ogni povero si accorga che ogni altro povero gli somiglia.

P.s.: Qualche giorno fa, preoccupati per l’attacco alle Ong, abbiamo scritto un appello. Lo abbiamo firmato quasi in quindicimila. Tra i primi, lo hanno condiviso Erri De Luca, Vauro, Michela Murgia, Padre Alex Zanotelli, Tomaso Montanari, Anna Falcone, Alberto Prunetti, Moni Ovadia, Marco Revelli, Livio Pepino, Marta Fana, Christian Raimo, Mauro Biani, Giulio Cavalli, Alessandro Gilioli. Tanti i portavoce di associazioni e le realtà di base impegnate nell’accoglienza, da Filippo Miraglia dell’Arci a Giuseppe De Marzo di Libera; Monica Di Sisto di Stop Tiip e Ceta, Patrizio Gonella di Antigone, Domenico Chionnetti della Comunità Don Gallo, Baobab Experience, l’Ex-Opg occupato di Napoli, la Casa Internazionale delle Donne, Tpo Bologna e Labas occupato, sindacati come Si Cobas, i segretari di molti partiti che mettono la questione sociale tra le priorità: Maurizio Acerbo di Rifondazione, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, Giuseppe Civati di Possibile, DeMa: il movimento di Luigi De Magistris, gli europarlamentari de L’Altra Europa, tantissimi comuni cittadini, ricercatori, persone impegnate nell’accoglienza. La nostra preoccupazione non sembra condivisa dalla maggioranza delle persone. Non lo era nemmeno quella dei professori universitari che si opposero a Mussolini rifiutandosi di aderire al Fascismo: furono appena 12 su 1250. Moltissimi altri cambiarono idea, col tempo.

È qui, vi invito a firmarlo: www.progressi.org/iopreferireidino

Articolo “Migranti Roma, agli sgomberi io c’ero e ho visto chi sono i violenti” di Francesca Fornario pubblicato il 26 Agosto 2017 sul sito de “Il fatto quotidiano”