Mangiare biologico, equo, solidale, di stagione e a km zero è un lusso?

Foto "Organic Food" by polizeros - flickr
Foto “Organic Food” by polizeros – flickr

Con questo (lungo) post vorrei rispondere all’articolo “Perché mangiare biologico resta un lusso?” pubblicato nei giorni scorsi da Margherita del blog Risonero.com. In sintesi: Margherita va in un negozio Naturasì (i supermercati che vendono esclusivamente prodotti da agricoltura biologica) e compra un cetriolo, un pane toscano (forse da mezzo chilo) e una fetta di feta greca spendendo 8,50€ e alla fine si domanda se non ha speso un po’ troppo e se comprare biologico, equo, solidale, a km zero e di stagione è un lusso…

In modo semplicistico e molto frettoloso si potrebbe rispondere che se si vogliono prodotti migliori, più sani e più equi bisogna essere disposti a spendere di più. A corollario di queste affermazioni si potrebbe aggiungere che le rese dell’agricoltura biologica sono inferiori rispetto a quelle dell’agricoltura convenzionale mentre i costi di produzione sono molto più alti. Infine si potrebbe dire  che i prodotti equi e solidali, riconoscendo un prezzo giusto ai produttori del sud del mondo, sono per forza più cari di quelli che hanno dietro alle spalle storie di ingiustizia, sfruttamento al limite della schiavitù e illegalità…

In realtà la situazione è molto più complessa e dalla mia esperienza di consumatore critico posso affermare che si può mangiare bio, eco, equo a prezzi ragionevoli, solo che bisogna dedicarci  un po’ di tempo e di attenzione…

1) Noi siamo quello che mangiamo.

Questa frase del filosofo tedesco Feuerbach sintetizza il nostro rapporto col cibo. La nostra salute, l’essere in forma, avere energie per costruire e mantenere il nostro corpo efficiente dipende da ciò che vi introduciamo dentro con l’atto di mangiare. Pensiamo un po’ quanto tempo e denaro dedichiamo a noi stessi: è molto probabile che dedichiamo più tempo nello scegliere quello che mettiamo di fuori (abbigliamento, scarpe, accessori vari…) rispetto a quello che mettiamo dentro al nostro corpo. Spesso mettiamo nel carrello della spesa gli alimenti al volo, quasi meccanicamente, senza nemmeno leggere le etichette, senza cognizione di quali sono i prodotti di stagione che di solito sono i più sani e i più economici. Magari pensiamo che le ore dedicate a cercare una camicia o un telefonino siano spese bene, mentre quelle che dedichiamo alla spesa alimentare o a cucinare siano una perdita di tempo…

2) Conoscere i cibi, dedicarci tempo e risparmiare.

Dato per scontato che dobbiamo dedicare maggiore tempo al cibo, il primo passo è “Conoscere” per fare una spesa consapevole.

  • Conoscere i cibi e gli alimenti. Conoscere gli alimenti, sapere quali sono i prodotti di stagione (perchè comprare le zucchine a Natale e le arance a ferragosto?), sapere quali sono i prodotti più economici e salutari che costano  meno (perchè spendere un sacco di soldi per orate e branzini di allevamento quando si possono comprare a prezzi modici palamite, sgombri e pesci sciabola pescati in mare?). Leggere le etichette, conoscere gli additivi e i conservanti. Conoscere un pochino di normativa sul biologico, informarsi su tecniche di allevamento, coltivazione dei vari prodotti, magari parlando con qualche amico che lavora nel settore o con qualche produttore. Farsi un’idea di quali sono i prodotti che è meglio comprare biologici rispetto ad altri meno soggetti ad inquinamento, pesticidi e concimi chimici (ad esempio le fragole le compro assolutamente biologiche, i pinoli posso comprarli anche non bio…). Conoscere le zone di produzione degli alimenti, sapere quali possano essere quelle più inquinate rispetto a quelle con un ambiente migliore… Insomma informarsi.
  • Conoscere le possibilità di acquisto nel proprio quartiere. I luoghi dove poter andare a fare la spesa sono tantissimi per cui vale la pena conoscere tutte le possibilità che offre il proprio quartiere: supermercati, discount, mercati rionali. A questi luoghi vanno aggiunte le nuove forme di acquisto alternative che spesso richiedono un tempo maggiore da dedicarci ma che in cambio hanno un rapporto prezzo/qualità molto interessante: gruppi d’acquisto solidale, farmer market, acquisto diretto nelle aziende agricole o dai pescatori, negozi di cooperative sociali, botteghe del commercio equo  o mercatini magari tenuti da associazioni di volontariato senza scopo di lucro, etc…
  • Conoscere le ricette e dedicarci tempo. Un’altra cosa che dobbiamo imparare, se vogliamo mangiare biologico e non spendere una sassata è rimetterci ai fornelli e dedicare qualche ora (o a volte qualche minuto) alla cucina, all’autoproduzione di alimenti. Ci sarebbero tante cose da dire ma per non dilungarmi faccio solo un esempio: con 1 litro di latte, una yogurtiera e 5 minuti si autoproducono ben 7 vasetti di yogurt. Costa molto meno 1 litro di latte biologico che 7 vasetti di yogurt  bio (anche comprandoli a Naturasì) e oltretutto si producono meno rifiuti e si rispetta l’ambiente (avete presente quanta plastica e cartone servono per 7 vasetti di yogurt?)

3) Mangiare è un atto politico.

Se dopo le considerazioni precedenti pensate sempre che comprare biologico, a km zero, equo e solidale sia un lusso dovete pensare anche al lato etico della scelta che state facendo. Fare la spesa è un atto politico molto più concreto che mettere una croce su una scheda elettorale ogni 4 anni. Scegliere di comprare una cioccolata biologica del commercio equo e solidale, lasciando sullo scaffale del supermercato la cioccolata della multinazionale, non solo vi permette di mangiare un prodotto ottimo ma per un bimbo del sud del mondo può fare la differenza tra andare a scuola, essere curato e amato, oppure vivere in uno stato di semischiavitù raccogliendo i frutti del cacao (qui un documentario in merito). Comprare frutta e verdura biologica a km zero consente di preservare l’ambiente in cui viviamo, magari a pochi km da casa nostra: se sopravvive un contadino biologico della nostra zona forse avremo come conseguenza anche un po’ di aria e acqua più pulita, un po’ più di verde e magari un po’ meno cemento. Che dite, secondo voi,  è un illusione pensare che comprare bio, eco, equo oggi possa garantire un mondo migliore e più pulito ai nostri nipoti un domani?

4) Le mie scelte per la spesa alimentare (in ordine di importanza)

Dopo tutta questa pappardella mi chiederete: ma in concreto tu come la fai la spesa? Vi faccio un elenco di dove io faccio la spesa alimentare con un po’ di suggerimenti per chi abita nella mia zona (Firenze zona Sud-ovest e dintorni)

  • Gruppi d’Acquisto Solidale. Da qui passa ormai quasi il 70% della mia spesa alimentare: carne, pesce, pasta, verdura, frutta, formaggi, latte, riso, biscotti. C’è da lavorare un pochino, da seguire qualche fornitore, da partecipare a qualche riunione e leggere un po’ di e-mail: il lavoro non è tantissimo, se ogni partecipante fa la sua piccola parte (logicamente chi pensa di andare, comprare e portar via, senza dare una mano al gruppo non è ben visto). Alla fine si fa una spesa bio-eco-equa con un ottimo rapporto prezzo/qualità, si imparano cose nuove, si conoscono persone interessanti . Nella mia zona ci sono almeno 7 o 8 gas (www.gasfiorentini.it).
  • Farmer Market. Sono i mercatini fatti direttamente dai contadini che il più delle volte sono anche fornitori dei gas. Ci compro qualcosa che non sono riuscito a comprare al Gas o di qualche fornitore che magari ancora non conosco… E’ il vero km zero senza intermediari. Nel mio quartiere sono almeno 3: Fierucola di Santo Spirito, Agrikulturae alla Biblioteca di via Canova, Mercato contadino di Mani Tese a Scandicci. In alternativa si possono andare a comprare i prodotti direttamente in fattoria, magari con una gitarella domenicale…
  • Botteghe del commercio equo e solidale e Negozi bio di cooperative sociali. Si tratta di piccole botteghe del commercio equo e solidale o di prodotti biologici a km zero che sono gestite da associazioni di volontariato senza scopo di lucro o da cooperative sociali che lavorano per l’inserimento lavorativo di disabili e persone in difficoltà: dalle mie parti ci sono il Bottegotto, Cambio spesa e un po’ più lontano la fabbrica di cioccolato di Equoland. Magari non sono proprio risparmiosi ma almeno il fine è nobile…
  • Altri negozi biologici: si tratta di supermercati e negozi tradizionali legati al biologico e posso concordare con Margherita che sono abbastanza cari: dalle mie parti Naturasì e Fresco in città.
  • Supermercati tradizionali e discount: da questi negozi (soprattutto Coop o più raramente Esselunga e discount) passa la mia spesa non alimentare e talvolta anche quella alimentare anche se, a dire il vero,  i corner del biologico sono abbastanza tristarelli… Logicamente preferisco risparmiare sul non alimentare (che talvolta compro anche al discount) e dedicare qualche soldino in più all’alimentare di qualità… Ad esempio la macchina per fare il pane l’ho comprata in offerta al discount mentre gli ingredienti per il pane, biologici e biodinamici, li prendo tramite il GAS…

Insomma, cara Margherita, le possibilità per una spesa eco-equa a prezzi ragionevoli ci sono… basta essere informati e saper scegliere…

Foto "Organic Box Delivery" by verseguru - flickr.com
Foto “Organic Box Delivery” by verseguru – flickr.com

A Formaggio donato… non si guarda in bocca!

toronto island sheep
foto "toronto island sheep" by Duchamp - flickr

Di solito non si dovrebbero criticare i regali che si ricevono, soprattutto se sono fatti da persone care ma purtroppo a volte certi doni sono proprio fuori luogo e sicuramente si meritano almeno un post… Nella mia famiglia sanno benissimo che compro quasi esclusivamente prodotti biologici e a km zero e che i miei acquisti li faccio per la maggior parte tramite il mio Gruppo d’Acquisto Solidale o nei farmer market… Eppure a Natale qualcuno ha pensato bene di regalarmi una forma di pecorino del supermercato che io non avrei mai comprato… Il formaggio  che compro io è di solito biologico, fatto da piccoli pastori toscani e come ingredienti ha solo latte, caglio e sale. Visti gli ingredienti semplici  del mio formaggio si potrebbe mangiare anche la crosta ed in effetti le croste vengono messe da parte per  il cagnolino di mia suocera…

Invece leggete un po’ gli ingredienti del pecorino nero dei colli senesi (però stranamente prodotto in provincia di Arezzo) che mi hanno regalato: ….

Latte di pecora, Fermenti, Caglio, Sale, Trattato in crosta con polimeri E203, E235, E172 e olio di Oliva – Crosta non edibile.

Dopo aver letto gli ingredienti che rendono la crosta non edibile ho fatto una breve ricerca su  google che vorrei condividere con voi, facendo una piccola ma importante premessa. Io non sono ne’ un chimico ne’ un biologo, sono un semplice curioso che vorrebbe capire meglio cosa mangia e che, di conseguenza, si diverte a cercare informazioni gironzolando nel web. Prendete perciò la ricerca che ho fatto con le molle… è un puro e semplice divertimento dove la parte più curiosa è stata scoprire in quali altri campi vengono usati i famosi polimeri che sono stati spalmati sul mio … cacio!

Ma partiamo dal fondo dell’etichetta.

“crosta non edibile” è la frase che mi inquieta di più…  vorrebbe dire che la crosta non si può mangiare o meglio, secondo il significato del termine edibile trovato sul sito dell’Accademia della Crusca, si dovrebbe dire più o meno… crosta da non mangiare perchè pericolosa. Ora io mi domando: dov’è il confine preciso fra la parte non edibile della crosta e la parte edibile del formaggio? Se devo togliere la crosta al formaggio quanti millimetri sono non edibili e quanti sono edibili? E se mi sbaglio nel taglio?  Ci vorrebbe una bella riga rossa sul confine tra la parte edibile e quella non edibile…  E poi, chi garantisce sulla eventuale migrazione delle sostanze pericolose dalla buccia al corpo del formaggio, magari sotto alla linea rossa?

E ora passiamo ai polimeri:

E203 Calcio Sorbato – Conservante antimuffa e antimicrobico. E’ di solito considerato innocuo e non tossico. Secondo vari link viene usato: nella crosta dei formaggi (soprattutto in Francia e Italia),  nei grassi e oli (escluso d’oliva), nella margarina, nel burro, nel ripieno di ravioli, tortellini e simili,  nella maionese, nelle marmellate, nei succhi di frutta, nella panificazione e nei prodotti da forno, nei canditi, nel sidro,  nelle creme dessert, nelle albicocche secche,  nelle pizze surgelate, nelle macedonie, nelle gelatine,  nelle bibite, nelle minestre concentrate, nello yogurt, negli alimenti per animali, nei cosmetici e nei prodotti farmaceutici.  (fonti: link1, link2, link3, link4, link5, link6 ).

E235 Pimaricina – Natamicina – Antibiotico antifungino usato contro le eventuali muffe… Si avete letto bene: è un farmaco antibiotico solitamente usato in medicina contro varie infezioni fungine, dai genitali alla bocca, alla pelle e molto probabilmente è lui che rende la crosta non edibile.  C’è in rete diverso materiale per cui vi metto alcuni  estratti e un paio di  link per approfondire:

Natamicina: […] Antibiotico polienico prodotto dalla crescita di Streptomyces natalensis. È un agente antifungino indicato per il trattamento locale di candidiasi, tricomoniasi e delle micosi oculari (cheratite fungina, infezioni da Fusarium solani). È stata utilizzata anche nella aspergillosi. Viene somministrata topicamente come sospensione al 2,5% o come crema dermatologica al 2%, per via orale per trattare la candidiasi intestinale e per inalazione per il trattamento di infezioni dei polmoni e del tratto respiratorio.

La natamicina sul sito www.glossariomedico.it

Leggiamo adesso cosa scrive Roberto Albanesi in merito alla Natamicina e anche … all’altezza a cui va tagliata la crosta del formaggio:

La natamicina è un antibiotico antimicotico a struttura polienica tetraenica, isolato dalle colture di Streptomices natalensis. La natamicina è attiva contro i microorganismi del genere Candida, Torulopsis, Rhodotorula, Aspergillus, Microsporum, Trichophyton, Epidermophyton e Scopulariopsis. Viene utilizzata in infezioni della bocca, dei piedi e dei genitali. Perché parlarne se è un farmaco?
Perché purtroppo è impiegato anche nell’industria casearia in alcuni tipi di formaggio come il provolone (non tutti i provoloni la contengono: leggere l’etichetta) ed è identificata dalla sigla E235.
La natamicina può essere applicata per immersione dell’alimento nella soluzione disinfettante oppure con spray di una soluzione che contiene da 200 a 300 parti per milione di additivo (200-300 mg per litro). La normativa europea richiede che la natamicina non sia presente a una profondità superiore ai 5 mm sotto la crosta: mezzo centimetro è comunque un margine di sicurezza insufficiente perché spesso la crosta del formaggio che si scarta ha uno spessore di soli 2-3 mm.
Notiamo che l’uso della natamicina ha praticamente solo fini estetici per evitare che la crosta presenti muffe o colori disomogenei e si presenti liscia e uniforme.
È sospetta come additivo? – La natamicina è stata utilizzata prevalentemente come farmaco topico per uso esterno (dermatologia, oculistica) e quindi, a parte rarissimi casi di allergia, non ha mai dato grandi effetti collaterali. Sono usciti recentemente farmaci antimicotici in compresse a base di natamicina (Natacyn in compresse), ma è troppo presto per verificare gli effetti indesiderati. In letteratura si trova che per dosi da 5 a 8 mg/kg (300-400 mg per un adulto, una dose nemmeno tanto elevata) i principali effetti collaterali sono nausea, vomito e diarrea.
Il problema è però nell’usare un farmaco come additivo alimentare. Molti medici hanno sollevato il problema della resistenza contro questo antibiotico da parte dei batteri che vengono in contatto con esso. In altri termini,  a loro avviso, il suo impiego nell’industria alimentare ne ridurrebbe di molto la portata come farmaco perché i batteri che dovrebbe sconfiggere sono diventati resistenti a esso a causa del contatto prolungato nel tempo attraverso i cibi.

tratto dall’articolo “La Natamicina” di Roberto Albanesi dal sito www.albanesi.it

Infine un estratto dal sito UK Food Guide

Natamycin (Pimaricin) is an antimyotic food additive used to protect cheese from mould and yeast growth. The use of natamycin on cheese allows manufacturers to produce cheese that is acceptable to the aesthetic demands of consumers by eliminating the growth of mould and yeasts that occur during aging and storage.Other benefits include reducing the risk of mycotoxin growth and a longer shelf life. It is also sometimes used medically to treat candidiasis. May cause nausea, vomiting, anorexia, diarrhoea and skin irritation. Typically found in the rinds of cheeses, and some meat products.

Tratto dalla pagina sulla Natamicina dal sito Uk Food Guide.

Altri link interessanti sulla Natamicina (da Wikipedia FranciaLa Natamicina sul sito dell’Efsa)

E172 Ossido e idrossido di ferro – Colorante innocuo composto da ferro e ossigeno e usato per dare il colore nero alla crosta (ma c’è proprio bisogno che la crosta sia nera?). Detto in parole povere, l’Ossido di ferro non è altro che  una versione sintetica e con un alto grado di purezza di quella che comunemente chiamiamo… ruggine! Giallo, rosso, marrone, arancione e nero sono i colori alimentari che si possono creare tramite l’E172 ma con l’ossido di ferro si possono fare un sacco di altre cose:  dai pigmenti per le ceramiche e per il vetro alle vernici antiruggine, dai toner ai nastri magnetici fino ai prodotti per le saldature per finire con un esplosivo come la termite. (fonti: link1, link2, link3)

Olio di oliva – L’ultimo ingrediente, forse usato  per lucidare la crosta, è l’olio d’oliva… Dopo tutto quello che abbiamo visto fino ad ora, non sarebbe meglio mettercelo extravergine?

Conclusioni

Dopo tutto questo articolo chiedo a chi è più esperto del sottoscritto se è più sano il pecorino biologico della mia amica Sandra che ha il difetto di avere una crosta bitorzoluta, giallognola e che dopo alcune settimane può fare un po’ di muffa  o se è meglio il pecorino del supermercato con la crosta liscia, lucida e nera come un paio di scarpe nuove, ma che non viene mai attaccato dalla muffa…

E contro le infezioni da Candida conviene forse fare degli impacchi con le croste di pecorino? 😉